Le proteste nei campus universitari annunciano un nuovo ‘68?

“Tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai…” diceva Moro. Parole antiche, ma saper leggere ciò che si muove nella società è sempre il compito di chi vuole fare politica.

Le notizie che arrivano dagli Stati Uniti sul massiccio fermento giovanile attorno al conflitto in Medio Oriente non può e non dev’essere liquidato banalmente. Perchè si tratta di un fenomeno, quello della difesa del popolo palestinese contro le cosiddette violenze perpetrate dal governo israeliano, che possono trasformarsi in un gigantesco movimento di opinione a livello internazionale. Che parte da un tema specifico, seppur fortemente strumentalizzato, ma che può estendersi a molti altri aspetti della vita pubblica.

Ora, occorre sempre essere molto cauti quando si formano i movimenti di opinione di massa. Perché l’oggetto della contestazione cambia di volta in volta, come ovvio e scontato, ma può facilmente attecchire in molti contesti nazionali mischiando elementi diversi e a volte addirittura

contrapposti ma che comunque contribuiscono ad aggredire gli equilibri consolidati. Certo, quando il perno attorno al quale si può aggregare una intera generazione è ben visibile e sufficientemente sentito e vissuto a livello trasversale nei diversi paesi, la stessa organizzazione della protesta mondiale è persino più facile da pianificare. Perché i temi legati alla politica estera, da sempre, sono quelli su cui la mobilitazione e l’organizzazione politica sono più semplici da trasformare in bandiere ideologiche di combattimento, di violenza e di iniziativa politica nei diversi

contesti territoriali e geopolitici.

E di fronte ad un quadro del genere che può espandersi a macchia d’olio anche nel nostro paese – dove già il tema specifico è oggetto di forte contestazioni accompagnate dai soliti e collaudati comportamenti violenti di molti mondi riconducibili all’universo della sinistra estremista, massimalista e radicale – la politica, i partiti e le rispettive culture politiche, semprechè esistano ancora, non possono più tacere. Anzi, quello che semmai va colto con intelligenza e capacità è la ricaduta concreta che simili atteggiamenti possono avere nell’attuale contesto politico purtroppo caratterizzato da un forte astensionismo elettorale e da un progressivo allontanamento dalla vita concreta dei partiti politici. Certo, nessuna pensa alle parole d’ordine che hanno caratterizzato l’ormai lontano e storicizzato ‘68 ma è indubbio che alcune costanti ideologiche, cariche di odio e di violenza, possono riproporsi nella loro interezza ed organicità. Con la differenza che mentre alcuni decenni fa esistevano gli strumenti della mediazione politica, ovvero i partiti e altre organizzazioni di massa e democratiche, oggi tutto ciò è semplicemente scomparso perché sacrificato sull’altare della velocità della rete e delle interconnessioni.

Ma se non si vuole rinunciare a leggere e ad interpretare ciò che capita nella società contemporanea cercando, seppur con difficoltà, di affrontarlo con le lenti della politica e della

cultura politica, è sempre più indispensabile mettere in campo una iniziativa che sia in grado di percepire i sommovimenti che attraversano il nostro vivere civile.

“Tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai… Nel profondo è una nuova nuova umanità che vuole farsi, è il moto irresistibile della storia”. Certo le parole di Aldo Moro pronunciate nel novembre del ‘68 risuonano forse antiche e fuori tempo. Ma oggi, come allora, la capacità di saper leggere ciò che si muove nella società è il compito prioritario e principale di chi vuole fare politica. E, questa, è la semplice differenza tra chi vuole capire per poter cercare di governare ed interpretare una società e chi, al contrario, si limita a cavalcare strumentalmente e cinicamente ciò che capita per poi rischiare puntualmente di esserne travolto. È la differenza, in fondo, che divide il politico dal populista.