L’Eco di Bergamo | Chi era veramente Don Milani. Intervista a Mauro Ceruti.

«Spesso si fa confusione: don Milani non è un prete che partecipa ai movimenti sociali del proprio tempo, anzi, resta estraneo anche ai movimenti teologici che portano alle grandi riflessioni del Concilio Vaticano II».

Di seguito riportiamo la parte finale dell’intervista a Mauro Ceruti, filosofo e senatore della Repubblica nella XVI legislatura, pubblicata su «L’Eco di Bergamo» (28 maggio 2023) con il titolo: «Per lui la fede esigeva libertà. Ma non è mai stato un sessantottino». Si ringrazia Mauro Ceruti per aver acconsentito alla parziale riproduzione del suo colloquio con Carlo Dignola, caposervizio del quotidiano bergamasco.

 

(…)

Carlo Dignola

Un uomo diretto, persino duro a volte. 

 

«Indubbiamente don Lorenzo Milani è una spina nel fianco alla tendenza della Chiesa a fare di sé una sorta di lenitivo della disuguaglianza sociale, tradendo l’immaginazione evangelica che invita a concepire un mondo nuovo e un uomo nuovo. Questo però non si tradusse mai in una critica ideologica o in una tendenza a uscire dalla Chiesa, come accadde per molti in quel periodo post-conciliare. Don Milani non si è mai sentito ai margini della Chiesa, mai. E ha sempre riconosciuto la Chiesa come Sacramento di Cristo. 

 

In lui convivevano, anzi erano la stessa cosa il radicalismo evangelico e il riconoscimento del carattere sacramentale della Chiesa. È davvero una sorta di lama d’acciaio che entra in modo netto nella sua Chiesa ancor più che nella società. Però non è un fulmine a ciel sereno. È anche espressione del cattolicesimo fiorentino di quegli anni, ci sono senz’altro tre uomini che hanno avuto un’influenza decisiva su di lui. 

 

Il primo è il suo vescovo di Firenze, cardinale Elia Dalla Costa, grande elettore di Papa Giovanni: per don Lorenzo è stato maestro di una fede sottratta a qualsiasi servizio ai poteri mondani. Il secondo è don Giulio Facibeni, il fondatore dell’Orfanotrofio della Madonnina del Grappa: un’opera che non volle far dipendere dall’istituzione Chiesa, era finanziata dalle libere oblazioni degli operai. La aprì nel quartiere operaio di Firenze dove tutti erano comunisti, per essere un ponte fra ciò che invece allora era divisivo. Il terzo uomo importante per don Lorenzo fu Giorgio La Pira, siciliano di nascita ma sindaco di Firenze e poi, anch’egli, esempio concreto di “uomo del Vangelo”: viveva come un povero in una cella del convento dei Domenicani in San Marco. Don Lorenzo è cresciuto in questo humus». 

 

Prete «di base». 

 

«Le sue sono sempre esperienze concrete e paradigmatiche: la prima è quella, come coadiutore, a San Donato di Calenzano, vicino a Firenze. Lì fa l’esperienza di una Chiesa “che ha tutte le parole, tranne quelle necessarie”. Una Chiesa che non sa parlare ai suoi parrocchiani che stanno vivendo il trauma del passaggio dalla società contadina a quella operaia. Don Milani non fa ciò che facevano gli altri parroci nelle sue condizioni, costruire oratori moderni, campi sportivi, sale cinematografiche con l’idea di portare lì i ragazzi per tenerli lontani della tentazione della secolarizzazione, della “tentazione comunista”. Ma viene spiato dai suoi stessi parrocchiani, e calunniato. Subisce una emarginazione totale, inviato nel confino mortifero di Barbiana, sperduta frazione montana nel Mugello».

 

Praticamente in missione in un «Terzo mondo»… 

 

«Che però è diventato uno specchio autentico, la coscienza critica per il Primo mondo. Lì don Lorenzo non fa professione di vittimismo, ma trova l’opportunità più creativa per dare espressione alla sua personalità e alla sua vocazione. A Barbiana la fede si trasforma nella passione per un’educazione alla libertà che vuol essere il contrario del proselitismo. Vuol portare quei bambini esclusi a ragionare con la propria testa, e quindi a raggiungere una libertà interiore, condizione di autentica emancipazione sociale. 

 

La scuola per don Lorenzo non è un ascensore sociale per integrarsi in un modello che discrimina, ma libertà di pensiero, libertà interiore. L’evangelizzazione e l’educazione alla libertà sono per lui una stessa cosa. Portare l’uomo a essere libero, dice don Lorenzo, è già un evento evangelico anche se io il nome di Cristo non lo pronuncio. Per questo non riteneva necessario tenere il crocifisso nella sua scuola. Era sufficiente che il riferimento ai simboli cristiani fosse nelle liturgie. In questa luce vanno letti i due scritti più noti e più scandalosi della sua esperienza pastorale, la “Lettera ai cappellani militari: l’obbedienza non è più una virtù” e la “Lettera a una professoressa”. 

 

Don Milani legge sul giornale che alcuni cappellani militari sostengono che un buon cattolico deve condannare l’obiezione di coscienza perché è una disobbedienza alle leggi dello Stato. Non solo nella società ma soprattutto nella Chiesa da sempre la parola “obbedienza” è una parola importante. Nella libera discussione con i ragazzi di Barbiana viene invece messa in discussione l’obbedienza all’autorità, e posta in primo piano l’obbedienza alla coscienza, libera. Verrà denunciato per vilipendio, per apologia di reato: sarà prima assolto e poi condannato dopo la sua morte. 

 

La “Lettera a una professoressa” nasce invece dalla bocciatura all’esame di licenza media di Gianni, un ragazzo di famiglia povera. I dialoghi con i ragazzi fanno emergere la differenza fra lui e Pierino, il primo della classe, figlio di una famiglia colta: questo sa svolgere benissimo il tema proposto, come la professoressa vuole che sia svolto, Gianni invece non è in grado: la scuola è un perfetto momento di selezione sociale. La “Lettera a una professoressa” è il testamento spirituale di don Lorenzo, cristiano e prete, non un testamento filosofico, politico o culturale – anche se poi ha ispirato tanta riflessione di tipo pedagogico. 

 

Don Milani non avrebbe mai immaginato o pensato di riformare la scuola istituzione secondo il modello della sua Barbiana. Quella può essere un’ispirazione, ma è un’esperienza che coincide con la sua personalità. Né avrebbe mai voluto identificare la sua con le scuole cattoliche. Pensa a una cultura non confessionale proprio perché l’evento più profondamente evangelico è l’evento di una crescita della libertà interiore. Don Milani è un prete che vive nel suo tempo e che ha una coscienza critica, ma non ha nessuna intenzione direttamente politica – anche se ne ha, certo, indirettamente. In questi decenni si sono visti tanti tentativi di appropriarsi del “vero don Milani”, ma incontrarlo è possibile solo nell’esperienza di vita singolare assoluta di quest’uomo di fede limpida, irripetibile, proprio perché l’orizzonte del suo impegno pedagogico è la creazione di condizioni sociali ed educative che promuovano la libertà».