13.6 C
Roma
domenica, Marzo 16, 2025
Home GiornaleL’economia europea: un problema di scala o di scopo?

L’economia europea: un problema di scala o di scopo?

Stralcio dell’intervento che l’Autore terrà domani al convegno della Société Européenne de Culture (SEC) – nata nel 1950 con l’adesione di Camus, Croce, Mann, Toynbee – su “La politica della cultura nell’attuale scenario internazionale”.

Si dice che il problema dell’economia europea è un problema di scala, rispetto alla Cina e agli Stati Uniti. Ed è certamente così. L’economia europea ha bisogno di maggiori investimenti, pubblici e privati, e, per realizzarli, di un adeguata dimensione del mercato dei capitali, di una certa capacità centrale fiscale, di programmi di investimento permanenti e così via. L’Europa ha la dimensione (size), ma non la scala (scale). Questo è un problema tecnico che si può risolvere (…) Ma esiste la capacità politica per risolverlo?

(…) Secondo alcuni l’Unione europea di oggi assomiglia all’Italia del Tre-Quattrocento. Mentre altrove si formavano le grandi monarchie nazionali – in Francia, in Inghilterra, in Spagna – l’Italia era divisa, facile preda di interessi esterni. Quegli Stati più grandi e più forti si trovano oggi fuori dall’Europa.

(…) In definitiva il problema dell’Europa non è un problema di scala – né economica né politica – ma un problema di cultura, cioè di immaginazione dei suoi scopi. Che tipo di Europa vogliamo e possiamo avere nelle nuove condizioni internazionali? A che tipo di società vogliamo e possiamo di conseguenza aspirare? Vogliamo più investimenti in difesa e meno investimenti sociali? O le due cose insieme, e in qual misura? E soprattutto: con quali risorse? L’Europa ha un surplus di parte corrente pari al 3% del suo prodotto, ma quel surplus “europeo” è una finzione contabile: è la somma dei surplus dei paesi dell’Unione. Ed è il frutto di un modello che, se non genera corrispondenti investimenti, mostra la corda dal punto di vista sociale.

Occorre ribilanciare un modello neo-mercantilista fondato esclusivamente sulla competitività esterna e i bassi salari, cioè su diseguaglianze e povertà strutturali, con uno a relativamente maggiore intensità di domanda interna, una economia dai più alti salari e maggiori investimenti pubblici, sul quale ricostituire una più elevata competitività esterna. Quali aggiustamenti politico-istituzionali sono necessari a tal fine, e con quale dosaggio di sovranità? Sia chiaro: questi obiettivi non saranno raggiungibili con la regressione fiscale all’interno e con forme di dumping fiscale verso l’esterno. Occorrerà procedere al lume del principio democratico di tassazione progressiva, pena il dissanguamento dei beni pubblici. Ma anche creativamente, con atti politicamente creativi, per esempio con l’emissione di titoli di debito europei.

(…) Ciò che tiene insieme una comunità, non è solo la sua capacità di calcolare il rischio, e semmai di assicurarsene finanziariamente e militarmente. Tutto ciò è ovviamente necessario. Ma nell’età della grande incertezza vale ancora ciò che diceva Giorgio La Pira: spes contra spem. La capacità di sperare contro ogni ragionevole speranza. La cultura deve contribuire a questo sforzo di immaginazione e di speranza.

 

Giovanni Farese
Professore dell’Università Europea di Roma