Gentile signora Cortellesi, chi le scrive è il Principe di Biancaneve. Al contrario della mia consorte, un nome vero e proprio non me lo hanno dato. Sono solo un personaggio di sponda e quindi a proposito delle mie generalità non ho altro da aggiungere, non sono stato che uno strumento utile alla vera protagonista del racconto.
Noi personaggi delle fiabe godiamo di una nostra eternità, ogni tanto si dà una rispolverata alle nostre storie e torniamo in ballo per poi ricadere per chissà quanto in una sorta di provvisorio letargo.
Quando siamo chiamati in causa il nostro onere è apparire sempre smaglianti, freschi di inchiostro, esattamente come l’ultima volta che siamo stati letti da qualcuno, proprio come lo scorrere del tempo non ci appartenesse e la penna avesse appena scritto.
Eppure, ci sono altre pagine che a voi del mondo reale non sono riservate ma che hanno non poca sostanza. Questa volta ve ne farò qualche minimo accenno ma non posso dire troppo per non tradire la consegna del silenzio che riguarda i protagonisti di ogni avventura e che indispettirebbe l’autore.
Cominciamo con il dire che Biancaneve, malgrado la sua origine nobiliare, si era adattata fin troppo bene alla vita della casa nel bosco. Una volta tornata a corte, non ha più saputo orientarsi nel mondo di prima appartenenza, muovendosi come una zombie tra le regole del galateo, mal districandosi nella fuga immensa di saloni eleganti della sua riconquistata dimora.
Non ha mai perduto bellezza e gentilezza ma è rimasta sempre estranea al castello in cui ha poi, con me, passato il resto dei suoi anni.
Possibile, su di lei, un velo di eterna tristezza per essere caduta nel dimenticatoio per il tempo successivo alla vicenda che l’ha resa famosa sulle pagine dei libri.
Non saprei dire se Biancaneve sia stata vittima del maschilismo. Osservo, per ciò che ho veduto che lei, è vero, ha accuditi i sette nani per come poteva. Ha fatto, si direbbe oggi, del volontariato verso una categoria protetta, quella di uomini spesso condannati al ridicolo tanto più se si pensano in affari con qualche donna.
È altrettanto vero che li ha tenuti costantemente sulla corda, ciascuno di essi con la speranza di poter essere il suo preferito ed essere prescelto sugli altri. Consapevole o no che lo fosse, è indubbio che la sua sola presenza di donna oltre che di persona esercitasse un potere su quei sette condannati alla solitudine ed al buio del bosco e della miniera.
Mi dicono che abbiano fatto una pessima fine. All’addio di Biancaneve, un addio, va detto, risoluto, di chi non si fa scrupolo a guardarsi indietro, tutta concentrata sul sottoscritto, hanno finito per litigare tra di loro rinfacciandosi mancanze, ritorsioni e colpi bassi, sembra addirittura siano caduti in povertà a causa di una depressione che ha impedito loro di continuare a lavorare.
Grimilde forse non aveva tutti i torti ad opporsi ad un “vissero tutti felici e contenti” di comodo, intuendone per tempo una quota di falsità e ipocrisia. Ammetto il mio scrupolo ed il mio rimorso: se Biancaneve fosse rimasta nel bosco, in perenne attesa del mio arrivo, non saremmo arrivati al punto in cui siamo.
Fossimo rimasti nella magia della sospensione nulla si sarebbe compromesso.
Biancaneve non me lo ha mai confessato apertamente ma da sempre sono tormentato dal sospetto che ci sia stato del tenero, forse anche qualcosa di più, tra lei e il cacciatore che doveva da principio condurla a morte e poi, impietosito, l’ha liberata, esortandola a fuggire.
Molto di più si saranno detti oltre ciò che sappiamo. Ci sarà stata una trattativa o il desiderio di un premio richiesto o da riconoscere, un istintivo abbraccio verso il salvatore. Si sarà sentita gratificata dalla attenzione di quell’uomo che aveva il compito di ucciderla estirpandone il cuore. È stata lei a catturare il cuore del cacciatore, non c’è altro verso. Comunque, essere donna le ha maturato innegabili vantaggi.
Qualcosa mi dice che la mia amata abbia tirato fuori in qualche modo, pur non volendo, le arti della seduzione per ottenere salva la vita, le stesse che del resto le hanno permesso di essere mantenuta e ancor più osannata dai sette nani.
Grimilde per prima, da esperta di vita, come fosse un’umana, ha desiderato mettere un po’ di verità una faccenda troppo a tinte rosa. Ha voluto addormentarla perché le cadessero i freni inibitori e si rivelasse per come era e ne emergesse l’autenticità anche di azioni di convenienza.
Non sto a dire che ogni nano era un possibile vizio da soddisfare. So soltanto che Biancaneve, che per certo ha un suo indiscutibile candore, è rimasta affetta da una terribile narcolessia dopo aver mangiato la mela, forse un avanzo abbellito di quella del peccato, resistente alla usura del tempo.
Da quando ci siamo sposati ogni nostro incontro ha stentato ad arrivare a compimento perché Biancaneve cadeva intanto in un sonno profondo.
Ho pensato avesse bisogno di perdere coscienza per darsi a me in modo assoluto, senza inibizioni, con un trasporto amoroso privo di riserve.
Ho creduto le piacesse il mio abbraccio in un sottofondo di sottile violenza mancando apparentemente il suo consenso, assorta come era nelle braccia di Morfeo.
Ho ancora immaginato le piacesse così tanto la scena del bacio da volerla ripetere con ossessione all’infinito senza che si facesse però poi un passo in avanti.
Quanto a Grimilde, gran bella femmina, occorre ammetterlo, ha difeso la sua avvenenza contro quella di una giovinetta troppo innocente per i suoi gusti, un eccesso spropositato persino per una fiaba, uno scontro tra donne dove noi uomini siamo stati meno di una ruota di scorta.
Ora maledico lo specchio che sa dire solo la verità e che mi rincorre per ogni dove sentenziando come Biancaneve abbia sempre tenuto lei in realtà le fila del discorso. I nani, il cacciatore, Grimilde ed io stesso non siamo stati altro che burattini nelle sue mani. Di più non posso dire, mi è vietato. Bisogna prenderne atto di quel poco che mi è stato permesso di commentare. Subito dopo la Fine le cose sono andate così.