Ho svolto il mio mandato parlamentare durante la Presidenza del Ppe di Wilfred Martens e successivamente ho incrociato il suo successore, il collega Joseph Daul; ho avuto come Presidente del Gruppo Parlamentare Hans Gert Pöttering e successivamente Joseph Daul. Ho seguito la politica tedesca da Helmut Kohl ad Angela Merkel, così come quella di tutti gli altri leader democristiani europei, e ho visto che hanno sempre seguito una linea di centro e hanno privilegiato le alleanze con il movimento del socialismo europeo.
Un cambio di rotta che disorienta gli elettori
Attualmente il Ppe e il Gruppo in Parlamento Europeo sembrano aver modificato la linea dei padri fondatori, assumendo posizioni e decisioni che disorientano l’elettorato, perché registrano dei passaggi di alleanze con i conservatori.
Lo stesso Cancelliere tedesco, nella sua campagna elettorale, ha dovuto precipitosamente modificare la sua posizione nei confronti del partito dell’AfD, per mantenere un consenso che altrimenti avrebbe rovinosamente perduto.
Se il movimento socialista ha smarrito in Unione Europea la sua natura ideale o ideologica dopo la caduta del Muro di Berlino, abbracciando un radicalismo libertario che non aveva mai avuto — perdendo così credibilità e consensi — questo non giustifica, ai soli fini della tattica, lo spostamento a destra del Ppe, creando disillusione in una larga schiera di cittadini che confidavano nella coerenza e nella stabilità del suo posizionamento politico.
Lontani dai padri fondatori e dai principi della sussidiarietà
La nuova posizione del Ppe è molto lontana dagli ideali dei fondatori italiani, francesi e tedeschi, insieme agli altri che hanno aderito alla proposta politica del dopoguerra con i partiti democristiani nei sei Paesi fondatori della CEE. Ha messo in secondo piano la politica sociale di mercato, la solidarietà come valore e la sussidiarietà, facendosi avviluppare da un establishment burocratico che ha via via neutralizzato il ruolo del Parlamento, enfatizzando quello della Commissione e lasciando al Consiglio la prerogativa autonoma di legiferare con provvedimenti intergovernativi.
La garanzia democratica che il Ppe doveva tutelare si è gradualmente smarrita e attualmente i provvedimenti non tengono conto della volontà popolare né della specificità del tessuto sociale dell’Unione.
I provvedimenti per il contrasto dell’epidemia – attualmente al vaglio della magistratura statunitense e di altri Paesi –, quelli sulle esasperate politiche green, che hanno inginocchiato l’economia tedesca e dell’Unione, e l’ultimo, sulla unificazione del fondo di coesione che priva la PAC di consistenti aiuti, rappresentano l’incapacità dell’attuale dirigenza del Ppe di tutelare gli interessi veri dei cittadini europei.
Perché serve rifondare il Ppe con un’assemblea popolare
Sicuramente il momento politico non è facile, ma non è necessario cambiare la natura originaria dell’ispirazione popolare, democratica, partecipativa, solidaristica del Ppe per affrontarlo. Anzi, proprio il DNA del Partito può rappresentare l’alternativa vera e seria ai radicalismi di ogni tipo: di destra e di sinistra, del capitalismo e del socialismo libertario, della cultura woke e delle grandi speculazioni finanziarie.
Un partito di popolo, con una declinazione interclassista radicata, è vocato naturalmente a bloccare ogni eccesso e a riequilibrare l’azione politica a favore di tutto il popolo, dando a ciascuna parte lo spazio necessario e impedendo che una classe — la più esigua — prevalga su quelle meno abbienti — le più numerose.
L’Unione Europea si è presentata ai cittadini dei sei Paesi fondatori con la CECA e l’Euratom, e successivamente con la CEE e la PAC, che è stata la più grande iniziativa politica di tutti i tempi. Ha unificato i popoli, assegnando a ciascuno un ruolo secondo latitudini, abitudini, consuetudini, storia e cultura, in una aggregazione produttiva di diversità mai prima verificatasi.
Non si era mai verificato che il Presidente del Partito e quello del Gruppo parlamentare coincidessero. L’accentramento di potere che ne deriva snatura la dimensione democratica del Ppe e lo trasforma in un partito presidenzialista, che i padri fondatori avversavano.
Ho consultato Wikipedia e ho trovato che vi si attribuisce al Ppe una collocazione di “centro-destra”, senza che nessuno l’abbia corretta. Ma il Ppe, dalla sua nascita, non è mai stato un partito di centro-destra: è stato un partito di centro, che ha fatto prevalentemente alleanza con il movimento socialista.
Non so come la pensano i colleghi francesi come Alain Lamassoure, molto amico di Guido Bodrato, o quelli olandesi come Marianne Thyssen, dei Cristiani Democratici Fiamminghi, su questa virata del PPE sotto la gestione di Manfred Weber, che continua imperterrito nel suo cammino divaricante la rotta dalle origini.
Un ultimo rilievo riguarda la scelta della Commissione di obbligare gli Stati membri al riarmo non europeo, ma di ogni singolo Stato, senza porsi minimamente il problema della strategia economica e della priorità da assegnare alla dimensione europea.
La sensazione è che si seguano logiche avulse dall’obiettivo del bene comune, rispondendo piuttosto alle esigenze del mercato dei produttori di armi, prevalentemente statunitensi. Non sappiamo dove porterà questa deriva. Ma sappiamo che — come terzo produttore del PIL mondiale — l’Europa potrebbe non riuscire a contrastare l’accordo in fieri che potrebbe profilarsi a Pechino, in occasione della Festa nazionale d’autunno, tra Xi Jinping, Putin e (probabilmente) Trump.
Bisogna rifondare il Ppe con una assemblea popolare partecipata da tutti i democratici cristiani e popolari d’Europa degli 84 partiti membri provenienti da 43 Paesi, tra cui Forza Italia, che con Berlusconi era riuscita a rappresentare il nostro Paese con posizioni significative.