In verità la campagna elettorale non ha regalato grandi emozioni, a meno che per esse non s’intenda la sorpresa e lo stupore per le spacconate di Salvini. Se fosse per lui l’europeismo dovrebbe essere censurato o meglio eroso da dentro e da fuori, dando agli elettori l’illusione di un felice inguainamento nella politica delle convenienze, per un gioco di transazioni variabili con Bruxelles, sempre all’insegna dell’Italia first. In questo arrembaggio sovranista l’attacco a Mattarella – l’on. Borghi confermava in serata il senso della sua polemica con il Presidente della Repubblica – è valso a confermare l’anomalia selvaggia di un partito che si distribuisce in campi opposti, stando al governo come si sta nella irrisolta Pontida dei rivoltosi. E gli alleati? Ricamano lezioni di galateo che non risolvono l’imbroglio.
Di questo si tratta, infatti, di un imbroglio che cerca di rivendicare una credibilità inesistente, con la pretesa di guadagnare credito nel consesso europeo mercé la libertà di atteggiamento e di manovra, ora per blandire una fiacca (ma anche furba) Ursula von der Leyen, mostrando perciò moderazione, ora per incentivare l’agognata svolta a destra, radicalizzando il discorso sulla “nuova Europa”. In realtà, l’idea di effondere nei Palazzi dell’Unione la flagranza del nazional-sovranisno si scontra con la determinazione degli attori principali – Scholz e Macron in testa – a preservare l’equilibrio assicurato da Popolari, Socialisti e Liberali. Non si vede all’orizzonte una formula diversa, pertanto non si vede come possa “sfondare” a Bruxelles e Strasburgo la logica avanzata dalla destra italiana.
In questo scenario il punto debole è rappresentato dalla posizione di Forza Italia. Che avanzi o si consolidi, il partito orfano di Berlusconi è destinato a fare i conti con le sue contraddizioni, essendo altamente faticoso tenere in piedi a Roma l’alleanza con i sovranisti e i nazionalisti con la solidarietà europeistica dettata dall’appartenenza al Ppe. Quanto può durare un equilibrismo che nasconde ambiguità? E per quale ragione il “centrismo” di Tajani dovrebbe sorvolare senza danni il terreno del conflitto, mantenendo un doppio regime a seconda del contesto in cui gli è dato stabilmente di operare? A tali interrogativi, e forse ad altri ancora, bisognerà fornire risposte convincenti.
Ora, alla sostanza dei problemi politici fa da eccipiente l’attesa per il voto. Va crescendo la sensazione che dopo il 9 giugno si apra comunque una fase nuova, con un possibile riassetto nella maggioranza di governo. Sicuramente il passaggio elettorale avrà un impatto maggiore rispetto a quanto si poteva immaginare fino a qualche tempo fa. L’Europa può cambiare l’Italia.