Non abbiamo sentito in una lunghissima campagna elettorale proposte chiare, possibili con tempistica e finanziamenti sostenibili. Ogni parte politica, ovviamente, secondo le proprie categorie valoriali. Qui – si direbbe – casca l’asino. “Europa sì, ma non questa”! Vogliamo cambiare l’Europa! Come? La scadenza delle legislature europee è sempre di cinque anni e la turnazione dei G7 sono note, ma a quanto pare non si ha uno sguardo lungo, per lavorare strategicamente sui futuri assetti. Sono gli statisti che nutrono utopie e costruiscono il futuro!
Abbiamo il diritto di conoscere i programmi dei partiti con la loro visione statuale, amministrativa, etica. Quindi abbiamo bisogno di partiti: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (Art. 49 Costituzione), che è tempo di normare con legge ordinaria. Perché non si è ancora, o non si vuole, fare una legge che garantisca a tutti i cittadini la democraticità della organizzazione, degli organi, dei finanziamenti?
Fino a quando non sarà possibile scegliere anche alcune rappresentanze saranno irrilevanti. È quanto si dice per la presenza dei cattolici nelle liste prima e negli organi di partito e nelle istituzioni, se eletti, poi. Con l’attuale legge elettorale se le segreterie non li accettano in lista c’è poco da fare anche con le preferenze; nel caso delle recenti elezioni europee, sarebbe stato necessario che chi desiderava avere testimoni a Bruxelles ponesse la croce e la preferenza sui candidati di radici cattoliche, presenti in diverse liste.
Bastava andare a votare e scovarli, evitando la geremiade circa la mancanza di alcune espressioni culturali e sociali. Vale ovviamente per ciascuna richiesta di rappresentanza. Se non si votano candidati di riferimento come sarà possibile vedere dibattiti e controllare scelte coerenti con le proprie opinioni? Soprattutto in una Italia con caratterizzazione bipolare servono le preferenze per attrarre il voto degli elettori.
Non c’è un altro modo per vivere la democrazia che partecipare!
Non può essere positivo il giudizio su chi critica, ma approfitta di
quanto la politica produce (magari non paga nemmeno le tasse) e non vota.
Qualche giustificazione è accettabile quando la critica riguarda lo standing della classe dirigente. Linguaggio volgare, insulti agli alleati, sciatteria nel vestire. L’eletto e la eletta non valgono uno, perché rappresentano tutta la comunità e da loro discende l’esempio di comportamento civile. Ci si aspetta un atteggiamento signorile, non superbo o distaccato, ma di grande rispetto verso le persone, tutte, e magari soprattutto con le più modeste. C’è un adagio non male “signori si nasce, ricchi di diventa“. Non c’è borgataro che non possa essere “signore” se ben educato, e ricchi volgari, maleducati e incolti.
[Il testo è tratto dalla newsletter che l’ex ministra, oggi presidente dell’Associazione Partigiani Cristiani, invia periodicamente per e-mail]