Lo definiscono in molti modi e con vari appellativi: da capo della corrente thailandese del Pd a guru; da stratega dei vari organigrammi a gran ciambellano. Insomma, una sorta di perenne suggeritore e consigliere. Comunque sia, si tratta di un politico raffinato che antepone sempre la riflessione e l’elaborazione al mero ed arido pragmatismo. Ma, al contempo, conserva una straordinaria attenzione al potere, ai suoi mille gangli e, da raffinato figlio della tradizione comunista e gramsciana, un’indole innata a condurre, pianificare e costruire gli algoritmi per conto di tutti. Parliamo, come ovvio, dell’amico Goffredo Bettini.
E, leggendo le ultime interviste rilasciate dal Nostro, non possiamo non soffermarci su come intende ricostruire l’alleanza progressista. O quella del ‘campo largo’ o, come dicono alcuni, quella del ‘Fronte popolare’. Quella che un tempo si chiamava semplicemente centro sinistra. E, in mezzo a mille proposte e suggestioni, quello che colpisce di più è come Bettini intende dar vita e riorganizzare la gamba centrista, o moderata o liberale. L’ultima in ordine di tempo è quella di stabilizzare, accanto al polo del Pd e a quello dei 5 stelle anche questo polo. Ovvero, come lo definisce sempre il Nostro, “un polo libertario, liberale, moderato in quanto modernizzatore”. Indicando, come da copione, anche il nome e il cognome del possibile federatore di questo fantomatico polo. E cioè, a scorrere l’elenco, tra i vari anche quello di Alessandro Onorato, assessore del Comune di Roma, capo della lista civica a sostegno del sindaco Gualtieri. Ma davvero?!
Una proposta e un progetto che rientrano perfettamente nello stile di chi concepisce una coalizione in chiave tolemaica. Ovvero, esiste l’azionista di riferimento, il partito cardine della coalizione, il perno decisivo dell’alleanza a cui si aggiungono o una serie di cespugli o di partiti o di movimenti che, però, devono ricevere il timbro finale del dominus. Nel caso specifico, il Partito democratico.
Tradotto in termini più chiari ed espliciti, il Nostro – seguendo con rara coerenza, trasparenza e lungimiranza la sua tradizione politica – indica il perimetro della coalizione, ne definisce i contenuti e, soprattutto, indica i potenziali protagonisti di questa operazione. E, per entrare ancora più nei dettagli, giustamente individua anche il potenziale federatore di un fantomatico polo centrista, libertario, modernizzante e vagamente liberale.
Ecco perché, e senza infierire ulteriormente su questo versante, è facile arrivare al punto finale di questa concezione. Che, peraltro, non è affatto una novità ma riassume la miglior tradizione comunista, gramsciana e togliattiana del nostro paese. Quella che storicamente veniva definita come “la via italiana al comunismo”. E quella che Veltroni ha sempre definito come una esperienza diversa ed innovativa rispetto alla vecchia e tradizionale esperienza del comunismo internazionale.
Per queste ragioni, semplici ma essenziali, non possiamo che arrivare a trarre le debite conseguenze. Ovvero, il polo o il luogo o il partito o il movimento centrista di cui il campo largo ha bisogno può decollare e consolidarsi ad una sola condizione: che venga respinta al mittente la concezione che viene quasi quotidianamente distillata dai Bettini di turno. Quello, semmai, è il modo migliore per consolidare il polo della sinistra in tutte le sue multiformi espressioni e spingere l’elettorato centrista e moderato a votare altri. Perché non sono i cespugli inventati a tavolino, i piccoli partiti personali come quelli di Renzi e di Calenda e i federatori scelti nella propria cerchia e sotto la propria tutela ad attrarre il vasto, composito ed articolato elettorato centrista nel nostro paese. Quello, come ovvio, guarda e vota i partiti che autenticamente e pubblicamente declinano, coltivano e praticano un progetto centrista e perseguono una vera e credibile ‘politica di centro’. Piaccia o non piaccia ai Bettini di turno.