Al fine della costruzione di un nuovo centro sinistra penso che il 2023 ci abbia lasciato in eredità un dato chiaro, anche se non positivo: il mancato decollo politico-organizzativo e programmatico di un soggetto politico di centro. Questo anche in caso di sempre possibili colpi di scena dell’ultim’ora per le liste alle prossime Europee, perché un processo di tale portata, e di cui il Paese ha bisogno, come il rilancio dell’area di centro non lo si può improvvisare. Da dopo le ultime politiche del 2022 non è scattata la scintilla della dedizione a un comune progetto, ed è mancata generosità e visione di ampio respiro. Si sono visti più aspiranti mietitori che seminatori, e più iniziative politiche da sartoria su misura personale che da stilisti della politica.
È evidente che la mancanza di uno strumento organizzativo comune in fieri limita il ruolo del centro e nei fatti lo consegna temporaneamente nella quotidianità ai due partiti personali che occupano tale spazio.
Tuttavia, a mio avviso, esistono dei filoni sui quali i gruppi, come i Popolari, che coltivano il progetto del rilancio di una politica di centro, possono scommettere e investire per l’avvenire del Paese.
Non si tratta di buttarla sul programma per nascondere il deficit sul piano organizzativo. Al contrario si tratta di riscoprire il primato degli elementi caratterizzanti della politica di centro sulle forme organizzative e come loro collante.
Di fronte alle sfide del mondo attuale c’è un enorme bisogno di una politica capace di mediazione, di composizione, di visione ampia e lungirante. Sotto questo profilo occorre riconoscere che i pronunciamenti (universali) della la Chiesa sui nodi cruciali del nostro tempo paiono molto più avanti, in termini di coscienza del tempo che viviamo, di quelli dei laici impegnati in politica, cattolici-democratici compresi. Un umanesimo per le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale; una transizione ambientale ed energetica “integrale”, sociale ed ecologica, con al centro l’uomo; un nuovo equilibrio internazionale capace di porre fine alla guerra mondiale “a pezzi”.
Vi è poi il grande filone della riforma dell’Europa sul quale è auspicabile che emerga una riconoscibile posizione di centro. Purtroppo anche la vicenda del voto parlamentare sul Mes non è stata, per quanto ci riguarda, l’occasione per porre l’accento più sulla necessità di quella che si può definire l’agenda-Draghi per l’Europa (l’esigenza inderogabile di rendere l’Ue al pari degli altri giganti della politica mondiale, pena l’esser tagliati fuori) che su regole che in gran parte appartengono a una fase storica oramai conclusa.
Accanto ai temi del lavoro e del welfare che sono qualificanti per una nuova politica di centro, andrebbe poi considerato maggiormente il tema della rappresentanza, cercando di interrompere quel circolo vizioso che di fatto ha privato gli elettori della facoltà di scelta dei propri rappresentanti. I partiti personali si perpetuano proprio perché ai partiti è stato concesso un potere abnorme di nomina, nei fatti, dei parlamentari. C’è quindi tutto un filone di lavoro in direzione di restituire ai cittadini il potere di scelta dei deputati, qualunque sia la legge elettorale, pur propendendo noi per il proporzionale che risolverebbe il problema alla radice con le liste con preferenze. Collegi uninominali, listini bloccati? Benissimo, però prima siano preceduti da primarie con cui gli elettori di ciascuna forza o coalizione possano scegliere i candidati, presentabili possibilmente in un solo ed unico collegio per rimarcare l’imprescindibile legame con il territorio.
L’ancora ritardato decollo del progetto del centro, peraltro, si accompagna a una ormai lunga crisi della sinistra, che appare sempre più distante dalla sua storia e dai suoi valori. Un profilo radical chic, testimoniato anche dalla nuova dirigenza del PD, culturalmente affine alle varie forme di estremismo di Verdi, Sinistra Italiana e Più Europa. Per il partito della Schlein, lei peraltro assai meno movimentista di quanto appaia, non sarà facile uscire dal dilemma fra alleanza col M5S, scelta competitiva ma politicamente fragile, o linea di chiusura al populismo e di apertura al centro, politicamente più solida ma elettoralmente ostica, almeno fintanto che il partito di Conte manterrà percentuali a due cifre.
Nel frattempo il progetto politico del centro credo debba continuare soprattutto attraverso la capacità di porre questioni fondamentali che l’artificiale e semplificatoria dialettica destra-sinistra elude, non rinunciando ad incoraggiare i tentativi nei due poli nel superare tale limite.