Lo sport dei Re. Il “lancio della volpe”, praticato nei secoli passati, sotto i riflettori di “Nota Diplomatica”.

 

James Hansen

 

Uno degli aspetti della civiltà occidentale di oggi che sarebbe molto poco comprensibile agli occhi di un ipotetico visitatore “dal passato” – anche relativamente recente – è la stupefacente trasformazione del nostro atteggiamento verso gli animali. Da qualche tempo possederebbero perfino dei “diritti”, un concetto senza un senso compiuto in altre epoche storiche. Un’illustrazione alquanto eloquente del cambiamento è lo sport del “lancio della volpe”, conosciuto come “fox tossing” in inglese e come “Fuchsprellen” nei paesi di lingua tedesca, dov’era particolarmente radicato. Popolare sul Continente tra il Seicento e il Settecento, era un divertissement aristocratico che consisteva per l’appunto nel lancio in aria di animali selvatici – più spesso, ma non sempre, volpi – appositamente catturati per “partecipare” a gare che si svolgevano nei cortili o su terreni recintati. Il lancio veniva effettuato usando una sorta di “catapulta”, un largo nastro composto da corde tirato con forza alle due estremità dalle coppie in gara mentre l’animale ci correva sopra, come si vede nell’immagine qui accanto.

 

Vinceva la competizione chi lanciava l’animale più in alto. Secondo le cronache, i lanciatori più abili – spesso coppie “miste” di uomini e donne – riuscivano a proiettare le bestie fino a oltre sette metri d’altezza. L’esito era sovente fatale per gli animali, ma non era senza rischio nemmeno per i concorrenti in quanto le creature sopravvissute, terrorizzate e inferocite, non di rado aggredivano chi le tormentava. Per quanto questo “sport” sia oggi forse più incomprensibile che semplicemente improponibile, non era praticato da una piccola minoranza di sadici.

 

La storia tramanda notizie di grandi tornei di Fuchsprellen allestiti da aristocratici di altissimo rango. Augusto II, il Re di Polonia detto “Il Forte”, organizzò un famoso torneo a Dresda che risultò fatale per 647 volpi, 533 lepri, 34 tassi e 21 gatti selvatici. Si ricorda che i gatti erano particolarmente “sfidanti” perché: “Se non riuscivano a piantare artigli e zanne nelle facce o nelle gambe dei lanciatori, allora si aggrappavano con disperazione al tappeto di lancio ed era praticamente impossibile ottenere un risultato soddisfacente”.

 

Leopoldo I d’Asburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1658 fino alla morte nel 1705, fu criticato per la sua partecipazione a una gara di fox tossing nel 1672 – non per i suoi “lanci”, ma piuttosto per l’entusiasmo poco imperiale con cui, assieme ai suoi giullari e ai bambini presenti, prese parte personalmente all’abbattimento a bastonate degli animali sopravvissuti.

 

Tutto questo, visto con la sensibilità del 21° secolo – che riserva la propria brutalità ad altri aspetti della vita, come le armi atomiche, chimiche e biologiche – è quasi inspiegabile. Occorre tenere presente che in altre epoche gli animali di non immediata utilità – esclusi cioè quelli da cortile o da trasporto come cavalli e muli – erano comunemente considerati “infestanti”, dunque da eliminare in quanto consumatori di risorse che dovevano invece servire alla sopravvivenza umana. Fu anche il caso del “più elegante” caccia alla volpe della tradizione inglese. Pare ci andasse di mezzo sempre la volpe…

 

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