Giuseppe Bonvegna
È ancora possibile parlare di persona, come individuo umano in relazione con Dio e con gli altri, dopo la “morte di Dio”, cioè dopo fine della metafisica classica e cristiana e della grande narrazione idealistica moderna hegeliana? Siamo infatti entrati, da alcuni decenni, in quello che Francis Fukuyama nel 1992, all’indomani della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzione dell’Urss, chiamava La fine della storia, cioè di quella storia intesa come grande narrazione relazionale che aveva caratterizzato la cultura occidentale almeno a partire dall’inizio dell’era cristiana: al suo posto, sullo scorcio del Novecento, iniziava la «modernità liquida» (per usare le parole di Zygmunt Baumann), consistente nella elevazione del disimpegno razionale a supremo fine.
Il convegno dell’Adif (Associazione Docenti Italiani di Filosofia), dedicato al tema della persona in occasione del cinquantesimo dalla fondazione, dal 13 al 15 aprile presso l’Università di Roma Tre (Dipartimento di scienze della formazione), si è interrogata sul nesso che, nella persona, tiene unite identità e relazione.
La tre giorni romana, patrocinata anche dalle Università di Tor Vergata e Lumsa e da diverse Associazioni filosofiche e culturali, aperta, nel pomeriggio del 13 dalla relazione del cardinale José Tolentino de Mendonça (Prefetto del Dicastero Pontificio per la Cultura e l’Educazione) si è orientata nelle giornate di venerdì e sabato (con interventi di Andrea Monda, Marco Tarquinio e di circa quaranta relatori distribuiti anche in sessioni parallele), verso una messa a fuoco dei principali e attuali approcci filosofici e teologici alla persona: nella consapevolezza che psicologia, sociologia, pedagogia, comunicazione, letteratura e arte, nel momento in cui, domandandosi chi è l’essere umano, vogliano trattare il tema della persona, non possano fare a meno di una antropologia filosofica fondata teologicamente, dal momento che la riflessione sulla persona ha proprio origine nella riflessione teologica.
Il termine “persona”, infatti, affonda le sue radici nel teatro etrusco, passa attraverso il linguaggio giuridico romano ed è utilizzato nella teologia cristiana per denominare le persone della Trinità e indicare che, nell’uomo, accanto alle dimensioni corporea e psichica, c’è una dimensione spirituale.
Oggi però la persona sembra sempre più scomparire sotto i colpi di una globalizzazione che, nei suoi due momenti tecnologici (3.0 e 4.0), ha decretato la condanna senza appello della relazione a tutto vantaggio di una identità autoreferenziale e materialisticamente intesa.
Si tratta di un riduzionismo che nemmeno la stagione delle ideologie dell’illuminismo e del post-illuminismo ottocentesco e del Novecento totalitario era riuscita a dispiegare per intero, dal momento che la Seconda Modernità viveva ancora del retaggio del finalismo cristiano (seppur nascostamente e non interamente), come hanno messo in luce, nella seconda metà del Novecento, Karl Löwith e Hannah Arendt.
Laddove quindi l’uomo moderno, dall’Encyclopédie in poi, era un individuo che, pur avendo perso la relazione con Dio, conservava ancora quella con gli altri, l’uomo post-moderno perde anche la relazione con gli altri (e non recupera quella con Dio). La post-modernità, infatti, nonostante una sbandierata promessa di nuova relazionalità offerta dagli strumenti della tecnologia del web e dei telefoni cellulari prima e del digitale e dell’intelligenza artificiale poi (e adesso), risulta, alla prova dei fatti, una delle principali responsabili della attuale eclissi della relazionalità umana e quindi della persona (che è individuo in relazione): e questa eclissi della persona si realizza proprio attraverso quegli strumenti comunicativi che formalmente sarebbero destinati a favorire la relazione.
Dopo l’annuncio di Steve Jobs, che a inizio anni Duemila, presentando l’iPod, affermava trattarsi di una tecnologia che sarebbe arrivata al cuore delle persone, vent’anni dopo possiamo affermare che la previsione del fondatore della Terza e della Quarta Rivoluzione Industriale si è realizzata non certo nella sua forma liberatoria, ma in quella più inquietante, dato che, nel frattempo (attraverso l’iPhone e i Social) risulta persino molto discutibile che i loro fruitori sanno ancora di avere un cuore.
Fonte: L’Osservatore Romano – 15 aprile 2023