C’è sempre un che di romanzesco, quando si rievocano epoche passate, ricordi legati all’infanzia, suggestioni di una mitica età dell’oro nella quale tutto era più lucente, più bello e più vero. Si tende ad ammantare la realtà dei fatti con la patina aurea della nostalgia e si rischia di fare torto alla verità.
Però… Ci sono momenti della storia nei quali in effetti le condizioni generali e particolari si combinano dando vita a fasi, epoche realmente notevoli e tali da lasciare effetti a lungo.
Il periodo della Seconda guerra mondiale, ad esempio, che in Italia ha coinciso in parte con il ventennio fascista, pure essendo un tratto drammatico della storia del Paese, ha fatto lievitare ideali e azione, irrobustito fede e convinzioni, fornito una solida base di valori condivisi e irrinunciabili, il patrimonio che rende nazione una comunità.
È anche per questo che il libro di Giuseppe Sangiorgi Babbo Sangiorgi. Il romanzo di una generazione (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2024, pagine 182, euro 15) supera, come dichiarato sin dal titolo, ogni tentazione agiografica e sentimentale per diventare il racconto di un’epoca come detto tragica e difficilissima, a partire da quella del regime fascista, nella quale alcune persone che ne divennero protagoniste si trovarono dalla parte della democrazia e della libertà.
Si scrive qui «si trovarono» non con superficialità. Ogni nostra azione, ogni giorno, è frutto di una scelta e noi siamo in ultima analisi ciò che scegliamo di essere, pur essendo immersi in un caos di influenze e condizionamenti.
Quello che qui si vuol dire, e che lo stesso libro di Sangiorgi conferma, è che una robusta identità culturale, costruita attorno a un nucleo di valori morali e in questo caso religiosi, edifica una persona a tal punto da rendere quasi impossibile che possa tradire se stessa e a spingerla ad azioni che solo a distanza di anni potranno rivelarsi per quelle che sono: autenticamente umane, profondamente civili, eroiche sotto molti aspetti. Scrive per esempio l’autore, segretario generale dell’Istituto Sturzo, Commissario dell’autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, già presidente dell’Istituto Luce e curatore del documentario La Storia d’Italia del XX secolo con Valerio Castronovo, Renzo De Felice, Pietro Scoppola e la regia di Folco Quilici, a proposito dei tanti rischi corsi da molti durante il fascismo: «Nella stagione della lotta clandestina questi pericoli sono stati corsi da tanti uomini e donne delle diverse matrici politiche del Paese. Si deve all’eroismo e al sacrificio della vita di molti di loro la rendita democratica della quali siamo diventati immemori, in cui era normale restare normali facendo cose fuori del normale. Così queste storie nel loro insieme sono il romanzo di una generazione. Le culture di riferimento dell’antifascismo erano quella cattolica, quella liberale, quella socialista e quella comunista, che si riassumono nelle fi- gure di Luigi Sturzo, Piero Gobetti e Antonio Gramsci, con l’intreccio dei loro destini nella Torino politica del primo Novecento».
«Era normale restare normali mentre si facevano cose fuori del normale». Un concetto che, fortunatamente, è sconosciuto a molti, essendo proprio di momenti tragici come quelli di una guerra. È in questi casi che, per esempio, si approfitta anche del funerale di una neonata per trasportare, nella piccola bara, documenti riservati che non dovevano assolutamente finire nelle mani tedesche. O si passa in un momento dalle risate di un contesto domestico al terrore di una perquisizione in casa che poteva significare deportazione e morte.
Il libro di Sangiorgi è dedicato chiaramente al “babbo” Giovanni, militante dell’Azione cattolica e della Fuci, giornalista de «L’Osservatore Romano», tra i fondatori della Democrazia Cristiana, confidente di Alcide De Gasperi e di Giovanni Montini e poi dirigente nazionale delle attività artistiche dello stesso partito e fondatore e segretario generale dell’ente Premi Roma che nel dopoguerra ebbe il merito di scoprire fra i maggiori scultori e pittori dell’epoca. Una memoria che, spulciando fra documenti personali e pubblici, ritagli di giornale tenuti da parte dallo stesso protagonista del libro, legati ad avvenimenti ai quali in maniera diretta o indiretta, prese parte, diventa, come dichiarato, il racconto, il romanzo di una generazione. Romanzo, come detto, non per detrimento della verità dei fatti, ma per attenzione ai sentimenti umanissimi ed epici di tante persone che hanno contribuito a formare e ad affermare l’Italia democratica, libera e repubblicana di cui ha potuto godere la generazione successiva.
Si tratta naturalmente di un romanzo cattolico. Di un cattolicesimo curioso ed edificante, non cristallizzato e non pericolosamente reazionario, nello scenario instabile del dopoguerra e della guerra fredda. «È stata la riserva di inquietudine che il cattolicesimo ha al proprio interno — scrive l’autore — a evitare che la spinta verso queste posizioni di integralismo prevalesse sul rispetto del pluralismo in quegli anni del dopoguerra decisivi per la costruzione del nuovo equilibrio politico del Paese. Alcune figure riassumono nei loro percorsi questa inquietudine, una venatura del cattolicesimo vissuta lungo traiettorie di fede non sempre benedette dalle gerarchie, anzi in più casi condannate ma che hanno saputo imporsi nell’immaginario cattolico come la vera via da seguire nella dialettica politica, perché lo scontro non degenerasse nella rinuncia alla democrazia. E perché il cattolicesimo politico non si sganciasse dal senso profetico più profondo e intimo del cristianesimo».
Accanto a questo romanzo c’è sempre quello familiare, a partire dal caro ricordo di “mamma Sangiorgi”, donna impegnata quanto l’amatissimo consorte e in più divisa fra dimensione domestica e pubblica, alle memorie lucenti delle vacanze estive con il babbo impegnato altrove, con l’attesa da parte dei bambini delle golose mandorle salate che lui immancabile riusciva a trafugare da ogni banchetto pubblico.
È il romanzo, insomma di un’Italia che è stata, che ancora è da qualche parte, nei suoi comportamenti più virtuosi dell’oggi. E che magari potrebbe ancora essere, nelle modalità e declinazioni che l’attualità richiede.
Nel libro si riporta una nota scritta dallo stesso Giovanni Sangiorgi per una campagna elettorale degli anni Cinquanta, alla quale si presentava: «Sangiorgi è padre di 6 figli. Ha lavorato sempre: per la libertà, la dignità, la cultura, le fede cristiana in cui è nato e in cui vive da militante». In fondo, non serve di più. E non pare certo poco.
Fonte: L’Osservatore Romano – 10 agosto 2024.
Titolo originale: Restare normali fscendo cose fuori del normale.
[Testo qui riproposto per gentild concessione del direttore del quotidiano ufficioso della Santa Sede]