Luigi Granelli si colloca tra i maggiori dirigenti della DC lombarda e nazionale. Estremamente forte fu il suo legame con Marcora, senza che sfociasse mai in forme di servilismo. Bergamasco, nato alla fine degli anni Venti, è stato uno dei più̀ giovani partigiani della sua zona e militò, data la sua educazione cattolica, nelle brigate dei partigiani bianchi.
Ancora ragazzo, alla fine della guerra ritornò a lavorare con il padre, esercitando il mestiere di imbianchino. A sedici anni verniciava di minio i cancelli della Dalmine. Di media statura, aveva lineamenti fini ed era dotato di una straordinaria intelligenza dialettica e oratoria. Per queste ragioni, agli inizi degli anni Cinquanta fece una rapida carriera nella DC di Bergamo, ricoprendo il ruolo di direttore del giornale locale Il Campanone e collaborando con altri personaggi dotati di una cultura più̀ vasta della sua, come Beppe Chiarante e Luigi Magri, futuri parlamentari del PCI.
Granelli si formò da solo e quando la stima nei suoi confronti crebbe cominciò a essere chiamato fuori dalla sua provincia. Dopo la fondazione della corrente di Base fu avvicinato da Marcora, che gli propose di dirigere una rivista chiamata proprio La Base. In quella redazione incontrò la giovane dottoressa Adriana Guerrini, assistente alla cattedra di Diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, con la quale si sposò. Impegnati entrambi in politica, ebbero un solo figlio.
Quando Fanfani divenne segretario al congresso nazionale di Trento, si scontrò subito con Granelli che lo accusava di voler fare e agire senza pensare e progettare. In modo sprezzante Fanfani gli rispose: «Non si preoccupi, per voi faremo un pensatoio!» In seguito Fanfani sospese dal partito Granelli, Magri, Chiarante, l’onorevole Bartesaghi di Lecco e Mario Melloni, che con lo pseudonimo di Fortebraccio sarebbe diventato un bravissimo umorista dell’Unità, famoso per le sue vignette e le sue battute.
Mentre Magri, Chiarante e Bartesaghi finirono nel PCI, Granelli resistette nella DC con l’aiuto di Marcora, di sua moglie e della professoressa Brisca Menapace, di origine trentina e docente alla Cattolica di Milano. Quest’ultima finirà̀ anche lei nel PCI e poi al manifesto.
Granelli si trasferì̀ a Milano dove, a metà degli anni Cinquanta, Marcora aveva vinto il congresso provinciale, dando respiro a nuove e importanti prospettive. Divenne, come capiterà̀ più̀ tardi a chi scrive, prima dirigente degli enti locali e in seguito direttore del Popolo Lombardo, il settimanale della DC milanese.
Granelli tentò, ancora giovanissimo, di presentarsi candidato alle elezioni del 1958, sfruttando le sue capacità dialettiche e di abile giornalista. Purtroppo, in quella circostanza si scontrò con il vicario della diocesi di Milano monsignor Manfredini, futuro vescovo e delegato dall’arcivescovo Montini ai rapporti con il laicato cattolico milanese. Granelli era convinto sostenitore di quell’apertura a sinistra che prevedeva un accordo con il PSI, rifacendosi alla famosa frase di De Gasperi: «La DC è un partito di centro che guarda a sinistra».
Per lui, la Base era la sinistra degasperiana, cioè̀ una sinistra più̀ laica di quella aclista di Vittorino Colombo a Milano o di La Pira a Firenze. Monsignor Manfredini, invece, era su posizioni decisamente diverse, che lo portavano a caldeggiare il mantenimento del centrismo sia al comune di Milano sia in provincia. Nel momento cruciale delle elezioni del 1958 ebbe luogo un disastroso confronto tra Granelli da una parte e l’arcivescovo Montini, destinato alla carica di pontefice come Paolo VI, dall’altra. Dopo un incontro privato con Montini, Granelli pubblicò un comunicato nel quale diceva che le divergenze erano state chiarite in modo positivo. Gli piombò addosso una pesantissima smentita della curia milanese, nella quale si negava non solo l’esito positivo del suddetto chiarimento, ma proprio che il chiarimento ci fosse stato.
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