Luigi Sturzo come la luce delle stelle morte

Bisogna avere la capacità di fare del passato un investimento per il futuro. Riportiamo il testo integrale della relazione tenuta ieri da don Naro al convegno di “Tempi Nuovi”.

Un saluto cordiale a tutti voi, dalla Sicilia, dove in questo momento mi trovo. Mi scuso per non essere lì con voi, in presenza fisica: altri impegni di lavoro me lo hanno impedito. Mi scuso, dunque, davvero… e ringrazio l’onorevole Giuseppe Fioroni per avermi invitato a partecipare comunque in questa maniera, a distanza e con una video-registrazione.

Il tema su cui dovrete insieme riflettere nel giorno anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano è tanto importante quanto non facile da trattare: don Luigi Sturzo tra progressismo e conservatorismo. Progressismo e conservatorismo sono categorie tipiche dell’ambito politico in cui don Sturzo era abituato a muoversi e a operare. Esse però hanno applicazioni anche in altri ambiti, da quello culturale ed etico a quello religioso ed ecclesiale. E questo a riprova del fatto che sebbene la politica non sia tutto, tutto ha comunque una certa valenza politica, giacché tutto ha a che fare con la convivenza umana, con il crogiuolo di relazioni in cui la convivenza consiste, e con le opzioni ideali e pratiche che occorre fare per orientare, in una direzione o in un’altra, la convivenza stessa. Basti pensare, per esempio, al problema dell’Intelligenza Artificiale, che diventa ai nostri giorni il crocevia di controverse tensioni politiche non meno che sociali, culturali, etiche, religiose.

Don Sturzo non poteva nemmeno immaginare la questione dell’Intelligenza Artificiale. Tuttavia, riguardo a molte altre questioni non meno urgenti – penso, a mo’ di esemplificazione, alla guerra che imperversa ancora in tante parti del mondo – la sua riflessione politica rimane indubbiamente un punto di riferimento attualissimo.

Per chi conosce gli scritti di Luigi Sturzo non è difficile ammettere la loro attualità. Basterebbe a tal proposito citare la dichiarazione che Sturzo firmò, assieme ad alcuni altri intellettuali cattolici europei, nel 1928… Sono parole che estrapolo da quella dichiarazione: «Oggi che la guerra è diventata un sistema di distruzione anonima e di massacro generalizzato, senza nessuna finalità di giustizia distributiva, con mezzi atroci che si oppongono del tutto ai fini che si pretendono di perseguire, non c’è più distinzione morale tra aggressione e difesa; del resto, quando la difesa entra in azione, si identifica in modo criminale con l’attacco. In altre parole, una guerra giusta è oggi impossibile. E anche se fosse possibile, non la si potrebbe ammettere, a causa del suo carattere apocalittico». In quello stesso anno, il 1928, Sturzo ultimava la stesura di uno dei suoi saggi più noti: La comunità internazionale e il diritto di guerra, in cui – ormai esule, lontano dall’Italia fascista – confutava le varie teorie che avallavano la legittimità delle guerre: esse non risolvono i problemi insiti nella convivenza umana, non sono mai necessarie e inevitabili, in nessun caso possono essere giuste. L’eco di questa lucida lezione, purtroppo, non fu recepita nel successivo dibattito culturale, in nessun ambito disciplinare (da quello politologico a quello teologico).

In verità, se questa e altre lezioni sturziane rimangono attuali è per il fatto che da decenni restano purtroppo inattuate e – semmai – scivolano sempre più profondamente nell’oblio. Che dire, per esempio, degli avvertimenti che Sturzo, nei primi decenni del secolo scorso, non si stancava di lanciare ai cattolici italiani al fine di stimolarli a trovare il modo più efficace e opportuno per diventare (ma pure – potremmo ora aggiungere – per tornare a essere) rilevanti in seno alla società? Per lui la rilevanza dei cattolici nella società – nella politica locale e perciò nell’amministrazione dei municipi e delle province, delle città e delle regioni, nella politica nazionale e pertanto dentro il Parlamento, nell’economia non meno che nella finanza e quindi nelle imprese cooperative e nel sistema creditizio, nella formazione e nell’animazione culturale e dunque nella scuola e nell’associazionismo – la rilevanza sociale dei cattolici (dico), per don Luigi, non era certo guarnita di mostrine identitarie. E non consisteva – direbbe ai nostri giorni papa Francesco – nell’occupare spazi di potere ma nell’avviare processi capaci di generare una democrazia solidale, come Sturzo la chiamava in alcune delle sue ultimissime interviste alla radio e in televisione.

Rilevanza aconfessionale dei cattolici significava per Sturzo disponibilità a illuminare senza abbagliare, come la lampada posta sul tavolo e non sotto il letto. Significava riuscire a dare sapore e spessore alla società spendendosi senza riserve o parzialità in suo favore, come il lievito e il sale che si sciolgono nella pasta destinata a diventare buon pane. Sono immagini che ricavo dal «Vangelo nascosto in petto», cioè seminato nella propria coscienza, di cui Sturzo parlò nel dicembre 1918, alla vigilia della fondazione del Partito Popolare.

Roberto Benigni, intervenendo alla prima serata del festival di Sanremo il 7 febbraio dell’anno scorso e commentando la costituzione italiana sul palco infiorato dell’Ariston, ha fatto un’osservazione che mi ha colpito e che ricordo ancora con nitidezza… Disse in quell’occasione: «L’unica possibilità per il futuro è avere il passato sempre presente». Mi sembra una perla di saggezza, direi inconsapevolmente democristiana e, anzi, più a monte, tipicamente popolare e sturziana. Non si tratta, infatti, di schierarsi per il conservatorismo o per il progressismo. Si tratta, semmai, di avere la capacità di fare del passato un investimento per il futuro, senza pretendere di ripeterlo tale e quale, con la medesima pazienza (direi biblica) del contadino che si reca alla semina spargendo il frumento raccolto l’anno prima con la speranza ben calcolata di raccoglierne ancor di più nell’anno successivo. O con la stessa sapienza dello scriba divenuto discepolo, che porta nel suo bagaglio cose antiche e cose nuove, come si legge nei vangeli.

Don Sturzo è la semenza di grano antico e pregiato con cui dobbiamo preparare il raccolto di domani. E rappresenta il bagaglio sapienziale con cui dobbiamo progredire nel nostro cammino politico.

Ma se davvero si può dire una cosa del genere, allora è superfluo indugiare a rimpiangere Sturzo e la sua lezione socio-politica. Ciò che di Sturzo ci interessa ancor oggi e che vale la pena ricordare si può rappresentare con la metafora della luce delle stelle morte. Questo paradossale fenomeno astrofisico consiste nel fatto che la luce delle stelle – che vediamo di notte accendersi nel cielo e che da sempre aiuta chi sa leggere la mappa celeste a orientarsi nel proprio cammino – ci raggiunge da un luogo così lontano da equivalere pure a un passato temporale distante da noi miliardi di anni: le stelle che la emanano (meglio: che la emanarono) non esistono più, sono implose, sono morte appunto. Ma la loro luce ci raggiunge qui e ora. E ci illumina.

Massimo Recalcati ha usato questa metafora per spiegare che, dopo che è morto qualcuno per noi importante, spesso viviamo nel suo nostalgico ricordo. Ci sono, però, due tipi di nostalgia: la nostalgia-rimpianto e la nostalgia-gratitudine. La nostalgia-rimpianto si dispiace per il fatto che la “stella” di riferimento non c’è più e guarda al passato idealizzandolo, tentando di conservarne le reliquie, venerandolo al limite come qualcosa di ammirabile ma non imitabile (così si leggeva negli atti dei processi canonici per la beatificazione dei santi dal Settecento al primo Novecento). La nostalgia-gratitudine, invece, conserva una memoria della persona scomparsa che sa valorizzare il «resto della stella morta», appunto la sua luce che ancora ci raggiunge e che diventa «presenza viva di un’assenza». La nostalgia-gratitudine non si illude sul ritorno della persona scomparsa: sa bene che è morta. Per questo, a differenza di chi rimpiange il passato rimanendo disarmato davanti al futuro, la nostalgia-gratitudine coltiva una memoria rivolta al futuro, perciò una memoria creativa. Non si tratta di una memoria-archivio, semplicemente storica. E nemmeno di una memoria-spettrale – come la chiama Recalcati –, cioè di una memoria che avvista ovunque il fantasma di chi non c’è più, che vede l’ombra di un passato che continuamente rigurgita nel presente anche se resta irreale, velleitario, utopico. La «memoria del futuro» non si riduce a essere il culto passivo del passato, ma incoraggia un inedito avvenire. È una memoria che non si limita a conservare il ricordo del passato, né lo vede riproporsi spettralmente tale e quale esso fu un tempo. Piuttosto si tratta di una memoria che ha nostalgia non di ciò che è stato e abbiamo vissuto, bensì di ciò che non abbiamo ancora visto e sperimentato, ma che spetta a noi realizzare, viaggiando – avrebbero detto certi pensatori medievali – come nani appollaiati sulle spalle dei giganti vissuti prima di noi: cioè incapaci di eguagliare la loro immensa statura, ma in condizione comunque di vedere almeno un palmo più lontano di loro, dato che alla nostra bassa statura assommiamo la loro altezza. Da qui il motivo della gratitudine per chi ci ha preceduti: nel nostro caso, per Sturzo. E il ricordo che conserviamo della sua lezione non è più semplicemente e soltanto uno sterile culto del passato, bensì promessa e premessa di una storia nuova. È l’augurio che vi faccio, per oggi e per i prossimi – cruciali – giorni a venire. Un saluto cordiale a voi tutti voi.

Il link per accedere alla video-registrazione del convegno di Tempi Nuovi “L’appello di Sturzo tra progressisti e conservatori”.

Il link per accedere alla video-registrazione dell’intervento di Don Massimo Naro