È possibile raccogliere il pensiero pieno di tensione e proiettarlo sul futuro?

Con questo interrogativo, Sturzo si poneva di fronte ai problemi dell’immediato dopoguerra. Riproponiamo l’inizio del fondamentale discorso (Milano 17 novembre 1917) che anticipa e informa l’Appello ai liberi e forti.

Ancora non è spenta l’eco del plauso, degli inni, degli entusiasmi per la immensa vittoria nostra, per la vittoria immensa degli alleati: ancora echeggiano, dal piano alle valli e alle montagne che seppero il tuono dei cannoni e le fiamme e il fuoco e i vapori mortiferi e videro stragi e morti, i cantici della gioia.

Suonano ancora le campane delle nostre chiese e ripetono all’Altissimo, nei fremiti della commozione, il ringraziamento fedele di un popolo, che vide le sue sorti elevate nel trionfo di una vittoria oltre il prevedere umano, oltre le speranze nutrite di costante fiducia nella causa di giustizia, nella difesa del diritto e della civiltà, nel raggiungimento delle aspirazioni dei popoli.

Rapida come il fulmine, vasta come la tempesta, avvolgente come l’uragano, venne la vittoria, premio alla costanza, virtù di uomini, ragione di eventi, alta disposizione di provvidenza; — e abbiam visto Lucifero cader dal cielo come una folgore, quando il tedesco, nel culmine delle sue speranze, dopo aver quasi raggiunto Parigi e carpito il trionfo, cedeva, cedeva, nel disfacimento di una forza titanica, immane: quello che peccò di superbia, di fronte al mondo e di fronte a Dio.

Il cammino segnato ai popoli ha una nuova impreveduta orientazione dai fattori accumulatisi ed esplicatisi nel giro di pochi giorni: nei quali la storia compie cicli immensi, nel tumulto di popoli, nel cader di regni, nel sorger di nazioni; mentre ai valori spirituali la vita oggi vissuta dà fasci di luce nova, nei bagliori di sanguigni tramonti.

È possibile raccogliere il pensiero, ancora pieno di spasmodica tensione, e proiettarlo sul futuro che ci attende, non come spettatori passivi e inerti, ma come fattori di opera, nel gigantesco risorgere della patria all’alito benefico della pace, nel progresso delle sue forze, pur nella crisi degli eventi, che gli uomini tentano di correggere e guidare, mentre si sprigionano energie novelle, dalle latebre della terra percossa, dal profondo ignoto dell’anima umana, dall’abisso della coscienza collettiva?

Una sintesi parziale ha il valore dell’oggi; domani può cader come nebbia al sole, evanescente e leggera; un programma formulato ancora sotto l’incubo degli eventi, può divenire un vaniloquio sterile, quando la realtà incombe con la sua forza tiranna; ma vi sono veri immutabili e profondi, che dominano gli eventi, e che illuminano le coscienze; occorre riverberare sugli umani eventi e sulle coscienze umane questi veri, perché una guida pratica sia a noi segnata anche nel tumulto dei trionfi e delle crisi.

A questi veri ispirerò il mio dire nel parlare di programmi del dopoguerra oggi che la guerra è finita, e che nuovo cammino è aperto ai popoli nelle trepide ore della pace che sorge.