L’appello lanciato ieri su queste colonne da Giuseppe Fioroni per l’unità del Centro esprime, a mio avviso, una linea politica chiara che tiene conto sia degli aspetti contingenti, la concreta dislocazione dell’elettorato di centro, che di quelli strategici, come presupposto per una iniziativa programmatica all’altezza di questi tempi nuovi, alla quale i Popolari, nonostante il perdurare delle loro divisioni, possono dare un contributo qualificante.
Toccherà anche a Renzi e Calenda assumersi le loro responsabilità. Sapendo, tuttavia, che l’unità del Centro non è riducibile a una pur auspicabile e saggia unità di sigle e di dirigenti.
Un centro dinamico e riformista necessita anche di una capacità di lettura e di visione dell’attuale fase, con le quali costruire una narrazione in grado di parlare in profondità a un elettorato interessato a capire dove si sta andando, la direzione e il governo dei cambiamenti, e ormai stanco di veder soffocata nella sterile contrapposizione destra-sinistra la discussione sui principali problemi che ci stanno davanti.
In questo senso, un comune riferimento dei soggetti interessati a promuovere una lista unitaria di centro alle prossime Europee, alle priorità, per l’Italia e per l’Ue, delineate da Mario Draghi nei due suoi ultimi interventi pubblici negli Stati Uniti e sulle colonne dell’Economist lo scorso 6 settembre, sembra opportuno e decisivo, se lo scopo comune è veramente quello di fare decollare un progetto politico adatto ai tempi e non una gara fra vanità. Si può, e si deve, discutere nel merito della scala di priorità indicata dall’ex premier ma riconoscendo che i temi che la costituiscono sono quelli da cui dipende l’avvenire del Paese e la serenità di lavoratori e famiglie.
In questa chiave, credo che il miglior modo per rigenerare fra un elettorato disilluso il senso dell’importanza del voto, e in particolare di quello per il rinnovo del parlamento europeo, sia proprio quello, come suggerito dall’ex presidente della BCE, di affrontare ora, non fra 20 anni, il tema del rafforzamento della sussidiarietà fra Paesi membri su voci come la fiscalità comunitaria, la difesa, l’energia, il commercio internazionale e la geopolitica per permettere all’Ue di dire la sua e di perseguire i propri interessi in una logica win-win con le altre aree del mondo, le quali appaiono sempre più determinate nel far valere il loro effettivo peso demografico ed economico.
Il centro ha la possibilità di presentarsi di fronte alla classe media, che teme l’estremizzazione delle principali questioni – fra cui le guerre in corso, la transizione ecologica, i processi di automazione e di intelligenza artificiale – come forza stabilizzatrice e di buon senso. Fra noi di centro si deve provare a raggiungere sensibilità comuni su tali questioni. Onde potersi proporre con chiarezza, senza lasciar dubbi all’elettore, sulle questioni ambientali come quelli che puntano a una transizione energetica effettiva ma graduale, attenta a non creare nuove disuguaglianze, laica, cioè improntata alla neutralità tecnologica, senza arroccamenti su sistemi destinati a esser superati da nuove e più efficienti tecnologie.
E sulle questioni internazionali, non cessando di trarre le conseguenze del detto che Matteo Renzi citò alla presentazione della sua candidatura alle prossime Europee: in geopolitica i Paesi che non siedono a tavola stanno nel menù. Ovvero, se come Italia e come UE, ci accontentiamo di partecipare al gioco degli altri, senza perseguirne uno nostro, ci ridurremo ad essere il loro premio in palio. Come, ad esempio, ci ricorda l’intricata vicenda del Nagorno Karabakh, presentata nella sua complessità su queste colonne da Enrico Farinone il 26 settembre scorso. Ci si è illusi che bastasse mettere una impossibile pietra tombale sui rapporti economici euro-russi per stroncare l’innegabile condizionamento che Mosca tenta di imporre sulle forniture energetiche. Per ritrovarci adesso a sperimentare che non esistono Paesi per gli approvvigionamenti energetici a zero condizionamento geopolitico, come si vede dalla accresciuta forza contrattuale raggiunta, anche per meriti propri, dall’Azerbaijan (su cui l’Europa ora punta per ridurre la dipendenza dal gas russo) e dalla OTS, la grande Organizzazione degli Stati turchi, non solo verso l’Ue ma anche verso due importanti Paesi BRICS come Russia e Iran. Con il rischio che le ragioni della sicurezza dell’Armenia e la sorte dei 120 mila armeni del Nagorno Karabakh passino in secondo piano, nella doverosa ricerca di un accordo che permetta a questi due stati di vivere in pace.
Se riusciremo a costruire insieme, al di là dei personalismi, una forza di centro capace di mostrare affidabilità, equilibrio e visione sui temi decisivi per il domani dell’Italia, non solo potremmo ambire a rilanciare il centro di cui il sistema politico italiano ha bisogno, ma arricchiremo l’offerta politica di una proposta di cui molti elettori sono in ricerca.