L’uomo e l’universo nella visione vedica: un libro fondamentale di Roberto Calasso.

L’Ardore, l’ultimo libro di Calasso, è una lettura impegnativa. Il libro si muove lungo l’asse della peregrinazione curiosa e intelligente, anche mettendo a confronto induismo e cristianesimo.

Volendo sondare i misteri vedici, L’Ardore di Roberto Calasso (scomparso nel 2021) non può essere ignorato. Il libro si muove lungo l’asse della peregrinazione curiosa e intelligente, anche mettendo a confronto induismo e cristianesimo, specialmente laddove entra in gioco il tema del sacrificio e quindi della morte. L’autore ne fa un punto cruciale di riflessione. Cos’è infatti il sacrificio, volendo  attenersi alle antiche scritture vediche, se non un modo per sovrastare la pena della vita che si spegne, esito fatale cui vanno incontro tutti gli enti dell’Universo?

Al contrario, l’ardore non è nient’altro che la forza primordiale ripiena di passione e, potremmo dire, anche di amore, da cui è scaturita l’esistenza di esseri e cose, a partire dalle prime entità, le più potenti, sino ad arrivare alle più infime e secondarie. Prajapati è l’unica persona esistente, il Dio Sommo, considerato quindi superiore allo stesso Brahma, il Dio della creazione per gli indiani. Quindi Prajati è Principio Primo, unico essere realmente esistente e, secondo una visione che potremmo definire esoterica, unico ente vero e sussistente, di cui tutti gli altri sarebbero mere copie.

È interessante vedere come da questo ardore, da questo tapas (termine sanscrito tradotto con “calore”) originario, avrebbe preso vita tutto ciò che esiste. Prajapati non voleva generare Agni, il secondo dio identificato col fuoco, ma la traboccante energia presente in Lui non poté fare a meno di dare alla luce tale entità, da cui poi sarebbero derivate tutte le altre, in un susseguirsi di deva (divinità) ed esseri come i ṛṣi (i sette sapienti che hanno conosciuto i Veda prima che venissero scritti) i quali, al pari di quanto accade nel pantheon greco, combattono le loro battaglie e vivono le loro avventure esattamente come gli umani, anche se ovviamente dotati di potenza sovrabbondante.

Calasso analizza in profondità il tema del sacrificio, attorno a cui ruota tutto il libro. Di cosa parliamo, a riguardo, se non del tentativo di annullare la morte? E perché dobbiamo fare i conti con la morte? Ogni meditazione sull’uomo e il creato ha preso origine da questo superiore interrogativo. Già Prajapati si sentiva assediato da morte, Mṛtyu, e per questo inventò una serie di stratagemmi fatti di misure e pratiche da condurre nei secoli, nei millenni e nelle ere per annullare lo strabordante potere dell’eterno nemico. Ecco, dunque, che l’induismo ci ricorda il valore di atti sacrificali aventi lo stesso scopo di quello che aveva il Sommo Progenitore.  Così possiamo intendere la forza dell’anginhotra, il sacrificio compiuto dai brahmani col latte, attraverso i quali forse giungeremo a congiungerci con gli dèi, divenendo immortali. 

La lettura di Calasso è consigliabile a quanti vogliono farsi un’idea più matura dell’antico lascito vedico, per capire le mitologie e gli aspetti esoterici del pantheon che accoglie le divinità indù. Il libro fa sognare, disegna viaggi mentali, stimola ad andare oltre nell’indagine dei problemi. S’incontra, in questo cammino, anche il tema del capro espiatorio, con la citazione di passi significativi di un’opera fondamentale di René Girard (Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo). L’intreccio è di straordinaria suggestione, invitando altresì a forzare le porte della mentalità razionalistica occidentale. Sono pagine dense, con spunti di grande intensità speculativa, capaci di riportare l’uomo a contatto con le questioni più profonde legate alla sua natura e al suo destino, oltre la dimensione terrena.