La sfida di un Centro popolare e plurale

Se persiste una cultura politica che non può essere definita fallita, o da riscrivere o, peggio ancora, da reinventare, questa è proprio la storia e l’esperienza del cattolicesimo popolare italiano.

Finalmente siamo arrivati al dunque, come si suol dire. Dopo aver preso atto che la presenza popolare, cattolico democratica e cattolico sociale è pressochè inesistente nella cittadella politica italiana, o si è in grado adesso di avviare una iniziativa politica capace di ridare un ruolo e una funzione specifici a questa tradizione ideale oppure si deve prendere definitivamente atto che il futuro dei Popolari o è testimoniale ed esclusivamente di natura personale nell’area di destra o si limita ad una stanca e banale riedizione dei “cattolici indipendenti di sinistra” degli anni ‘70 nel campo alternativo. Entrambe soluzioni che non sarebbero nient’altro che la certificazione plastica di una sconfitta politica, culturale, organizzativa e forse anche etica del cattolicesimo popolare italiano. Insomma, una sorta di “tradimento” del magistero dei nostri padri, dei nostri maestri e di tutti coloro che nella storia democratica del nostro paese hanno saputo condizionare, e anche guidare, i processi della politica italiana con le armi della propria cultura e dei propri valori di riferimento.

Ora, almeno così pare, la stagione dell’irrilevanza e della inconsistenza politica, culturale e programmatica volge al termine e si apre una fase dove questa cultura politica coltiva l’ambizione di giocare nuovamente un ruolo importante e forse anche decisivo per il futuro della qualità della nostra democrazia e per la stessa efficacia dell’azione di governo. Certo, senza alcuna presunzione ed arroganza e senza l’ipocrisia, o l’ingenuità, di ridare vita a partiti di massa o esclusivamente identitari. La scommessa, al contrario, è quella di favorire una seria e realistica “ricomposizione” politica, culturale ed organizzativa dell’area popolare e cattolico democratica liberandola dalla sudditanza e dall’insignificanza all’interno dei partiti o cartelli elettorali che sono politicamente distinti, distanti se non addirittura alternativi rispetto alla nostra cultura di riferimento. Come nel caso, ad esempio, della sinistra guidata dalla Schlein o di alcuni settori della destra leghista e sovranista. Una scommessa, quindi, tutta politica e culturale che richiede intelligenza, coraggio, disponibilità al confronto e al dialogo e, soprattutto, una qualificata e specifica elaborazione progettuale.

E l’iniziativa dell’associazione “Tempi nuovi – Popolari uniti” che si terrà a Roma venerdì 14 alla ‘Bonus Pastor” risponde, appunto, a quel preciso obiettivo. E cioè, riattivare il circuito dell’area popolare, cattolico democratico e cattolico sociale per riaccendere la passione politica di una tradizione che non può più restare qualunquisticamente ai margini della politica italiana. Certo, è una iniziativa aperta, e quindi non autoreferenziale, a tutti coloro che ritengono decisivo ed indispensabile l’apporto di questo filone di pensiero alla intera politica italiana. E questo per la semplice ragione che se persiste una cultura politica che non può essere definita fallita, o da riscrivere o, peggio ancora, da reinventare, questa è proprio la storia e l’esperienza del cattolicesimo popolare italiano.

Ecco perchè siamo arrivati ad una svolta, forse la più delicata, della nostra storia secolare. E di fronte a questo bivio occorre fare una scelta chiara e netta. E cioè, o ci si limita a giocare un ruolo di puro gregariato politicamente sterile e pressochè inutile, oppure si intraprende la strada di un nuovo “ricominciamento”, per dirla con Mino Martinazzoli. Cioè un “nuovo inizio” che ci permetterà, questo è certo, di ritrovare le nostre radici, la nostra cultura e i nostri valori di riferimento cercando, come ovvio, di inverarli nella società e nella dialettica politica contemporanea. Ma da protagonisti e non da comprimari.