Una macroregione euro-mediterranea che coinvolgesse anche Algeria, Egitto, Libia, Tunisia non c’è dubbio che potrebbe gestire meglio di quanto non avvenga attualmente con questa sorta di ‘guerra fredda’ la questione dei flussi migratori verso l’Europa. Così come una macroregione del mezzogiorno d’Italia potrebbe essere la risposta seria e non isterica delle regioni del sud Italia al regionalismo differenziato di quelle del nord. Inoltre, sicuramente, una macroregione europea del mediterraneo occidentale avrebbe potuto evitare lo scempio di 380 milioni di fondi strutturali restituiti in questi giorni dalla Sicilia all’Unione Europea per gravi carenze nella gestione e nei controlli. Infine, una macroregione incentrata sul versante occidentale della penisola potrebbe costituire la spinta giusta per inserire strade e ferrovie nel sistema dell’interconnessione europea o per indirizzare le politiche energetiche verso l’utilizzo delle fonti rinnovabili.
Ecco quattro tematiche che da una strategia macroregionale potrebbero ricevere un impulso veramente decisivo per la soluzione dei non facili problemi che presentano. Solo che, per raggiungere un tale obbiettivo, è necessario rispettare due condizioni preliminari: 1) che si sappia che cosa è una strategia europea macroregionale; 2) che la si voglia costruire ed adottare veramente. Senza l’adempimento di entrambe queste condizioni, infatti, il pur meritorio movimento che in questi ultimi mesi si è sviluppato intorno a questa idea e nei giorni scorsi ha celebrato un ulteriore momento di riflessione nella prestigiosa “sala del cenacolo” della Camera dei deputati costituirà una pura esercitazione intellettuale non lontana dall’astrattezza che caratterizza la politica del nostro Paese in questa fase storica e quindi destinata a fallimento.
Dunque, è necessario innanzi tutto chiarire bene cosa sia una macroregione europea. Essa non è -come si potrebbe facilmente pensare- una istituzione di nuovo conio, una nuova struttura ‘moderna’, una organizzazione inedita, Insomma, essa non è un nuovo apparato o, peggio, una più complessa ‘costruzione’ politica. Con la conseguenza che chi pensa che si tratti di una nuova opportunità di posizionamento politico, di una migliore occupazione di snodi di potere per intercettare più facilmente flussi finanziari, di una maggiore possibilità per aiutare masse di clientes ha completamente sbagliato strada. Pensando di potere continuare a percorre quelle a trazione animale cui ormai ci si è riabituati, ad esempio, nella mia Sicilia. Ma la macroregione europea non è nulla di tutto ciò.
Essa invece è una strategia che si inserisce nell’ampio quadro delle politiche di coesione che -previste dall’Atto Unico Europeo del 1986 e riproposte dai Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza- sono state rilanciate dal Trattato di Lisbona che, alle due iniziali dimensioni economica e sociale, ha aggiunto per la prima volta la prospettiva della “coesione territoriale”. Secondo l’art. 2 del Regolamento UE 1303/2013, infatti, per strategia macroregionale deve intendersi “un quadro integrato approvato dal Consiglio Europeo e sostenuto dai Fondi Strutturali e d’Investimento Europei (Fondi SIE) per affrontare sfide comuni connesse agli Stati membri e ai Paesi terzi situati nella stessa area geografica, che beneficiano così di una cooperazione rafforzata che contribuisce al conseguimento della coesione economica, sociale e territoriale”. In altri termini, ciò di cui trattasi è della costruzione di un sistema di gestione più efficiente delle risorse europee che possa realizzare, nell’area geografica interessata, forme di coordinamento degli interventi finanziati dai Fondi SIE. Il che significa che una strategia macroregionale deve prendere coscienza dell’esistenza di problematiche che riguardano aree geografiche non necessariamente coincidenti con quelle delimitate dai confini politico-amministrativi degli Stati membri ed anche dei territori limitrofi. In particolare, poi, ciascuna strategia macroregionale si sviluppa intorno a determinati obbiettivi tematici che vengono indicati con il termine pilastri e che, a loro volta, si articolano in aree prioritarie di intervento verso cui canalizzare i finanziamenti.
In conclusione, vi sono situazioni che richiedono forme di intervento pubblico nuove, capaci di favorire un approccio condiviso fra i soggetti (istituzionali e non) che già operano nell’area geografica individuata, al fine di razionalizzare l’utilizzo dei fondi europei e nazionali. Che, naturalmente, con l’adozione di una strategia macroregionale abbisognano di procedure innovative. Procedure che, però, non sono stabilite da alcuna normativa europea ed invece si devono ricavare dalla prassi che si è consolidata a seguito della costituzione delle prime quattro macroregioni: del Baltico, del Danubio, dell’Adriatico-Ionico, delle Alpi.
Seguendo, allora, l’iter percorso univocamente da tutte le cennate strategie macroregionale, il primo passo da compiere è la costruzione di un forte consenso tra le comunità territoriali per la definizione delle problematiche comuni e le conseguenti strategie da adottare per darvi risposta. Protagoniste di questo momento di promozione ed impulso sono (devono essere) le Regioni. Che, nel secondo passaggio, devono coinvolgere il governo nazionale naturalmente per mezzo del ministero degli esteri che, sotto il proprio coordinamento, organizza una cabina di regia per guidare tutta l’operazione. Il terzo momento è caratterizzato dalla elaborazione da parte del gruppo di lavoro della cabina di regia di due documenti: a) uno, di natura tecnica, circa gli obbiettivi e gli assi portanti della strategia macroregionale; b) l’altro, di natura politica, per l’attuazione della strategia dell’UE, sottoscritto dai rappresentanti del governo e dai presidenti delle Regioni. Sulla loro base, poi, un documento finale sarà presentato alle istituzioni comunitarie.
Esaurita questa fase che potremmo definire introduttiva, il procedimento di adozione di una strategia macroregionale si trasferisce presso le competenti sedi europee. E precisamente presso il consiglio europeo il quale, se valuta positivamente la proposta, formula una raccomandazione alla commissione europea al fine di porre in essere i passaggi istituzionali necessari alla concreta adozione della strategia. La commissione, dopo un accurato processo istruttorio, condotto prevalentemente per mezzo di consultazioni online, redige i due documenti su cui si fonderà poi la strategia macroregionale: a) la comunicazione e b) il piano d’azione, che vengono mandati al parlamento europeo, al comitato delle regioni ed al comitato economico e sociale europeo.
Infine, tutta la procedura viene sottoposta all’approvazione del consiglio europeo che ne sancisce la chiusura, così deliberando la nascita della strategia macroregionale e dando iniziò alla sua fase operativa di implementazione con l’avvio delle procedure di accesso ai Fondi SIE.
Detto questo e, quindi, delineata per sommi capi cosa sia una strategia europea macroregionale, è necessario capire ora se Regioni e Città metropolitane del mezzogiorno con l’avallo dello Stato -le uniche istituzioni che ne hanno la possibilità formale e sostanziale- vogliano veramente istituire quella del Mediterraneo occidentale. Perché, come è facile intuire, senza la loro ‘discesa in campo’ l’iniziativa non può partire ed ancora una volta soprattutto il sud resterebbe attardato rispetto al nord che ormai, nella sua maggioranza, aderisce alla macroregione adriatico-ionica o a quella alpina.
Anzi, al proposito, è da sottolineare che mentre gli altri corrono noi stiamo scelleratamente a baloccarci e, mentre la prospettiva macroregionale diventa sempre più ineludibile, nelle sedi istituzionali del sud una discussione seria non è neppure cominciata. Al punto tale che abbiamo dovuto registrare, nel convegno svoltosi giorni or sono alla “sala del cenacolo” della Camera dei Deputati, la partecipazione attiva di parlamentari lombardi e di altre regioni del centro-nord e soltanto la ‘visita’ di un senatore della Sicilia. Ora, una tale distrazione o, peggio, sottovalutazione da parte della politica meridionale di un tema come questo, decisivo per lo sviluppo socio-economico di tutta l’area mediterranea, non solo suscita preoccupazione ma anche rabbia per la perdita di opportunità che essa implica in materia di scelte che non solo appaiono strategiche ma per certi versi da ultima ancora di salvezza.
Sarebbe, allora, urgente che i vertici regionali e metropolitani battessero un colpo, rendendosi almeno disponibili ad organizzare un incontro nel corso del quale assumere finalmente con chiarezza una decisione in ordine a questa scelta.