Ma Report fa parte di TeleMeloni?

Bisogna avere riguardo dei fatti per non vivere solo di slogan o propaganda. La vera sfida resta quella di saper coniugare la qualità dell’offerta informativa con il rispetto, sempre e rigoroso, del pluralismo.

Dunque, è ormai entrato nella vulgata generale che esiste “TeleMeloni”. La propaganda martellante e massiccia della sinistra italiana e di tutto il circo mediatico, politico, culturale, sindacale ed intellettuale che quotidianamente la accompagna, arriva alla conclusione che nel nostro paese il servizio pubblico radiotelevisivo è sostanzialmente sdraiato sull’attuale maggioranza di governo e, nello specifico, sul Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Ora, per non vivere solo di slogan o di propaganda, chi ha potuto vedere l’ultima puntata di Report tutta dedicata al centro destra, con un attacco politico e personale che oltrepassa addirittura la militanza politica e faziosa di Santoro dei tempi d’oro, uno si chiede candidamente se anche Report fa parte di “TeleMeloni”. Ovvero, se trasmissioni come queste siano inquadrate nella propaganda che la Rai fa solo ed esclusivamente al centro destra di governo. E questo ancora al di là del fatto che nel giorno in cui si vota in Liguria la Rai trasmette un programma di attacco politico frontale ad un candidato alla Presidenza di quella Regione e al relativo schieramento.

Ora, forse è arrivato il momento di verificare la bontà e la verità della vulgata messa in atto dalla sinistra populista, radicale ed estremista in questi mesi di governo del centro destra. Senza pregiudizi politici e, men che meno, senza alcuna pregiudiziale personale. Perché basta ricordare trasmissioni come Report per mettere in discussione l’egemonia del centro destra sul servizio pubblico. E, se vogliamo allargare lo sguardo all’intero panorama televisivo italiano, non possiamo non ricordare che c’è una Tv, ovvero la La 7, che di fatto è una emittente riconducibile al cosiddetto “campo largo”. 

Da quelle parti vanno in onda dei talk dove la faziosità e il settarismo politico non fanno neanche più notizia. Da Floris a Gruber, da Formigli a Parenzo a Augias e via discorrendo la stessa lettura dei fatti politici è talmente di parte che diventa quasi inutile il confronto. Ma, comunque sia, si tratta di una emittente privata seppur molto importante nello scacchiere televisivo nazionale. E, di conseguenza, anche la faziosità e il settarismo politico non possono e non debbono essere messi in discussione. 

Sul fronte Mediaset il canale che si dedica prevalentemente alla politica e al suo approfondimento è Rete 4. Ora, al di là e al di fuori di Giordano, gli altri talk di approfondimento politico e culturale sono improntati ad un vero e proprio rispetto del pluralismo di opinioni. E, tra tutti, svettano Bianca Berlinguer e Paolo Del Debbio. Sul versante dell’informazione quotidiana, cioè i molteplici Tg – sia del servizio pubblico che dell’emittenza privata – il pluralismo politico va semplicemente garantito per legge e quindi non c’è alcuna possibilità di compiere delle singolari forzature o di praticare faziosità particolari. Per quanto riguarda le altri emittenti, a partire dal canale Nove, è persin inutile perdere tempo nel descriverli talmente sono noti la linea politica ed editoriale.

Ed è di fronte a questo quadro concreto e non virtuale, che si deve affrontare in modo tangibile il capitolo di “TeleMeloni”. A partire anche e soprattutto dalla Rai. Fuorché non vogliamo anche noi cadere nella goliardia e nella ricostruzione carnevalesca dei “martiri” dell’informazione, degli alfieri della libertà d’informazione – ovviamente con sontuosi e rispettabili contratti milionari – e dei nuovi “resistenti” per la libertà e la democrazia che hanno lasciato la Rai per approdare in altri lidi televisi. Perché, al di là di queste buffonate, quello che si può e si deve rimarcare è che, alla luce della concreta e non virtuale offerta televisiva, la cosiddetta “TeleMeloni” è la solita operazione politica che viene gestita e patrocinata da chi ha scientificamente e materialmente occupato il servizio pubblico radiotelevisivo negli ultimi 30 anni della vita democratica del nostro paese. Cioè dalla fine della Dc e l’avvento della cosiddetta seconda repubblica.

Semmai, la vera sfida resta quella di saper coniugare la qualità dell’offerta informativa con il rispetto, sempre e rigoroso, del pluralismo. Dopodiché, uno può anche essere fazioso e settario, come sono la stragrande maggioranza dei conduttori dei vari talk. Ma il tutto deve avvenire in una cornice democratica e pluralistica.