Quando parla un condannato, sottomesso a pena detentiva a seguito di regolare processo, accade solitamente che la pubblica opinione osservi un certo grado di prudenza, a meno che non ricorrano gli estremi di un clamoroso scoop giornalistico. Salvatore Buzzi, noto alle cronache per gli affari delle sue cooperative al Comune di Roma e alla Regione Lazio, non ha modo di farsi ascoltare. È probabile che pesi il dubbio sulla consistenza di presunte rivelazioni, dopo che le sentenze si sono incaricate di definire il quadro delle responsabilità – le sue in particolare – in ordine a note vicende di corruzione.
Il fatto però che insista, nei termini in cui gli è possibile, suscita una legittima curiosità. Lo fa solo per “incastrare” qualcuno? Per mandare un messaggio o ricercare vendette? O vuole togliersi un peso dalla coscienza per contribuire all’accertamento della verità tutta intera, colmando lacune o incertezze? Per la verità, le sue uscite non sono circondate da piccole o grandi nebulose, quel che dice non ha nulla di oscuro o allusivo. Anzi, è finanche troppo esplicito.
In una intervista a “Il Tempo” del 28 marzo scorso, arriva a definirsi un prigioniero politico e ritorna sulla sua versione della gara per il CUP (Centro unico di prenotazione), che a suo dire vedrebbe implicato, almeno indirettamente, l’allora Presidente della Regione Nicola Zingaretti. “Insieme al giornalista Umberto Baccolo – riferisce all’intervistatore – ho scritto il libro “Mafia Capitale. La gara CUP del Pd di Zingaretti” per la “Bussola edizioni”, l’unico editore che ha avuto il coraggio di pubblicare la nostra opera. Qui racconto tutto su quella gara”. E aggiunge: “Siamo dieci imputati, in otto ci dichiariamo colpevoli di turbativa d’asta e il procuratore generale Catalani sposa in pieno la mia ricostruzione dei fatti. Diddi, il mio avvocato si spinge oltre e parla di tangenti promesse verso esponenti vicini al presidente della Regione, come si evince dalle intercettazioni telefoniche. Eppure il giudice Picazio ci assolve tutti”.
Ora, può darsi benissimo che Buzzi esageri nel vedere ombre dove tutto è chiaro, puntando il dito dell’accusa quando invece dovrebbe dedicarsi rispettosamente a scontare la sua pena, ma la coltre di silenzio che ricopre le gravi affermazioni, di cui ostenta con sicurezza la bontà, di certo non è rassicurante. C’è un bisogno di verità che va oltre l’esito giudiziario di Mafia Capitale. Se la politica ha il dovere di guardare anche laddove i tribunali non arrivano, spetta innanzi tutto a Zingaretti dissipare le nubi di sospetto che mettono in cattiva luce, proprio per gli addebiti di Buzzi, il lavoro da lui svolto alla guida della Regione.