Già da diverso tempo si è imposta nelle Società americane una figura professionale che come tutte le innovazioni ha suscitato motivi di approvazione ed anche di perplessità. Il facitore di felicità, meglio detto Chief Happiness Officer, opera nell’ambito delle Human Resources ed ha un compito niente affatto semplice. Dovrebbe in sostanza promuovere una positiva cultura aziendale, curare il benessere dei dipendenti e prodigarsi perché il clima nell’ambiente di lavoro sia di quelli per lo meno accettabili.
I critici della iniziativa sospettano che tutto sia orientato ad un maggior profitto. Lo stato di letizia del dipendente è solo uno strumento per incrementare un aumento di produttività. Che il lavoratore sia contento non è il vero centro d’interesse dalla azienda. Del resto, lo si fa anche negli allevamenti di bovini dove si fa loro ascoltare musica classica, sembra peraltro che Mozart sia il più efficace per farle distendere e consentire una più consistente produzione del latte.
Ora ci si è organizzati nel periodo estivo per dare alle bestie anche un po’ di fresco con adeguati nebulizzatori ed altro ancora si troverà pur di arrivare ad un miglior risultato. “Se le cose stanno così” è il titolo di una celebre canzone, non resta che adeguarsi anche nelle strutture statali. Il buon Tajani ha nominato, come suo Consigliere ecclesiastico del Ministro degli Esteri, Don Marco Malizia che è stato incaricato di favorire la promozione dei valori della solidarietà, rispetto e dialogo attraverso l’ascolto e il conforto di tutti i dipendenti, prescindendo dal loro credo.
Come se il compito del buon Cappellano fosse quello di fare le carte o di vendere pozioni magiche, la Cgil non ha perso occasione di criticare, peraltro con nessuna diplomazia, una nomina che, si sappia, non ha alcuna remunerazione, dicendo che restano in attesa anche di aruspici e àuguri in grado di interpretare le viscere e di leggere le volontà degli Dei.
Solidarietà, rispetto e dialogo suonano alle orecchie di quel sindacato come ingredienti corrosivi capaci di intaccare la solidità dei piani della Farnesina con le sue 1300 stanze e con una superficie di 120.000 metri quadrati. Evidentemente è rimasta ancora sulle barricate di antichi conflitti tra Peppone e Don Camillo senza prestare un filo di attenzione all’oggetto dell’incarico che certo non dovrebbe risentire la coscienza di alcuno.
C’è in aggiunta la rozzezza di una lettura dei fatti che a Guareschi non riguardava neanche per un minimo. Forse Tajani ha sbagliato solo nella scelta del Cappellano che ha un cognome che si presta allo scontro. La malizia, si legge, è un derivativo di “malus” cioè di malvagio e non può che dare origine a danni ed a conflitti.
Eppure, c’è chi giurerebbe che il Ministro ha fatto questa scelta, innocentemente, senza malizia. Nei corridoi di quell’imponente palazzo, che compete per dimensioni con la Reggia di Caserta, grazie a quel Sindacato c’è comunque il timore di gridare ad un’aria irrespirabile.
“Quando fu l’aere sì pien di malizia, Che li animali… Cascaron tutti” è il passo a cui ormai si deve da oggi prestare attenzione per le opportune contromosse. Evidentemente, alla CGIL hanno insegnato che si deve andare sempre e comunque controcorrente o contropelo. L’importante è contestare, costi quel che costi. C’è il sapore di un mal dei primitivi tempi di guerra contro il potere, inveire sempre e comunque.
Sono probabilmente fermi a ricordi adolescenziali di quando il film “Malizia” ispirava automaticamente un senso di peccato ed è quindi bene, a rimedio, alzare il vessillo della protesta a salvezza dell’umanità. Sembra che nell’arte marmorea si usi anche la tecnica del controverso. La CGIL ne saprà far ricorso anche per una sua lapide a memoria della gloriosa battaglia che ha saputo appuntarsi arditamente in petto. Intanto che le viscere accuseranno forse un subbuglio per l’improvvida posizione, chissà se poi il responso delle stesse viscere ne decreterà anche la sua fine.