Manifesto per una gestione delle foreste più vicina alla natura

Proposto dalla rivista “Sherwood”, il Manifesto ha ricevuto già importanti adesioni. Ne forniamo il testo proprio in occasione della Giornata mondiale della foresta, istituita dall’Onu nel 2012 e celebrata ogni 21 marzo.

I dieci ambiti del Manifesto per una Selvicoltura più vicina alla Natura

 

1 – Più selvi-CULTURA nella ricerca

Negli ultimi anni, nel nostro Paese, la selvicoltura ha trovato sempre meno spazio nella ricerca e nella sperimentazione, per varie concause legate sia alla mancanza di investimenti di lungo periodo, sia ai meccanismi di valutazione dei ricercatori.

È necessario incrementare la ricerca e la sperimentazione in selvicoltura, promuovendo progetti specifici, gruppi di lavoro nazionali e internazionali, partnership con le imprese del comparto, superando gli impedimenti che rendono le ricerche selvicolturali di lungo periodo poco attraenti e quindi poco realizzate dai ricercatori.

 

2 – Più selvi-CULTURA nella pianificazione

La selvicoltura, quale elemento di base della Gestione Forestale Sostenibile, non può prescindere dall’incremento della pianificazione forestale a più livelli, come previsto dal TUFF (D.lgs. 34/2018) e dalla Strategia Forestale Nazionale. È necessario incrementare anche la formazione (vedi punto 5) in questo campo, verso studenti e tecnici laureati, per rendere omogenea la struttura e più efficaci i Piani di gestione, con particolare attenzione ai Piani Forestali di Indirizzo Territoriale, per i quali non esiste ancora un’esperienza diffusa e condivisa. Cultura della pianificazione significa anche uscire dalla logica dei Piani visti quasi unicamente come strumenti conoscitivi e inserire in questi documenti scelte, strategiche e selvicolturali, da adottare non solo sulla base di conoscenze tecniche, ma anche tenendo conto delle richieste e delle priorità generate nei processi partecipativi organizzati professionalmente nei territori di riferimento e della reale disponibilità di fondi e risorse umane per realizzare gli interventi programmati.

 

3 – Più selvi-CULTURA nella progettazione

In buona parte d’Italia, la selvicoltura è lasciata in mano alle sole imprese boschive, il cui ruolo – fondamentale – non deve però essere quello di progettare gli interventi, bensì di saper interpretare i progetti dei tecnici, portarli a termine senza causare danni ambientali irreversibili e nella massima sicurezza per gli operatori. È perciò necessario che per gli interventi selvicolturali (al di sopra di una soglia minima di superficie o di cubatura) sia previsto un progetto firmato da un tecnico laureato e abilitato alla professione, responsabile della loro esecuzione e adeguatamente remunerato a tale scopo. Ciò dovrebbe essere previsto nelle normative forestali di riferimento.

 

4 – Più selvi-CULTURA nella normativa

Oltre a recepire e incentivare ciò che è auspicato nel punto precedente, è necessario che la normativa forestale, in particolare le leggi e i regolamenti di Regioni e Province Autonome, pur nell’esigenza di differenziazioni locali, abbia minimi comuni denominatori su temi di rilievo nazionale e venga valutata a cadenza regolare, per recepire le mutate esigenze, le innovazioni portate dalla ricerca e dalla sperimentazione, abbandonando prescrizioni non fondate su basi scientifiche o oramai desuete. Occorre perciò che i funzionari delle amministrazioni siano a loro volta aggiornati, che lavorino in rete – tra loro e con gli esperti del mondo della ricerca – e che i politici di riferimento vengano costantemente sensibilizzati sulle modifiche normative necessarie.

 

5 – Più selvi-CULTURA nella formazione

È necessario che all’interno dei Corsi di Laurea delle Università italiane che formano i tecnici forestali la selvicoltura abbia un peso maggiore, sia dal punto di vista teorico che pratico (attraverso esercitazioni in molti tipi di bosco, in diversi contesti sociali ed economici). I corsi di selvicoltura dovrebbero recepire e trasferire agli studenti tutte le più recenti innovazioni in questa materia, avvalendosi anche di collaborazioni con esponenti del mondo professionale, pubblico e privato, preparando così i forestali del futuro alla progettazione e alla gestione di interventi selvicolturali innovativi e dei relativi cantieri.

La cultura in selvicoltura, tuttavia, non deve fermarsi alle Università. È necessario che la formazione in questa materia prosegua lungo tutta la vita lavorativa di tecnici e gestori forestali, sia pubblici che privati, attraverso corsi di aggiornamento promossi con determinazione e continuità dalle istituzioni di riferimento.

Formazione e aggiornamento dovranno essere dimensionati e strettamente connessi a reali opportunità di lavoro.

 

6 – Più selvi-CULTURA nella politica

Per rendere i boschi italiani più diversificati e resilienti, come ci chiedono i documenti strategici citati in precedenza e per il benessere di tutti i cittadini, è fondamentale un accompagnamento politico, attraverso finanziamenti, sgravi e aiuti mirati alla selvicoltura più vicina alla Natura, che permettano di realizzare gli interventi selvicolturali necessari anche laddove la redditività è bassa o nulla. Per fare ciò è necessaria un’opera di sensibilizzazione diffusa nei confronti dei decisori, anche rispetto al tema del pagamento dei servizi ecosistemici forestali, in cui il settore pubblico dovrebbe avere un ruolo di catalizzatore anche nei confronti dei proprietari privati.

 

7 – Più selvi-CULTURA nelle filiere

Oltre alle filiere corte e locali, oggi capaci di valorizzare prevalentemente l’uso energetico del legno, occorre portare a più ampia scala l’approccio a cascata e con esso la cultura della valorizzazione dei prodotti a più alto valore aggiunto e più elevato impatto occupazionale. Per tali finalità è però necessario creare sia le condizioni per produrre assortimenti di valore nel medio-lungo periodo, sia le idonee condizioni di mercato.

Non basta inoltre puntare sulle sole filiere del legno, ma al contempo occorre indirizzare l’azione selvicolturale verso altre filiere sempre più interessanti, anche economicamente (es. i crediti di carbonio associati ai servizi ecosistemici di regolazione o le attività turistiche e ricreative collegate ai servizi ecosistemici culturali).

 

8 – Più selvi-CULTURA nel controllo

A ogni livello, gli organi preposti al controllo dovrebbero evitare un approccio unicamente repressivo per abbracciare anche forme preventive di accompagnamento degli addetti ai lavori verso interventi selvicolturali più in linea con i documenti strategici citati e con le innovazioni prodotte da ricerca e sperimentazione. Per fare ciò è necessario un maggiore e costante investimento nell’addestramento e nell’aggiornamento selvicolturale anche degli addetti alle attività di controllo.

 

9 – Più selvi-CULTURA nelle imprese e negli operatori forestali

Occorre continuare ad investire sugli imprenditori e sugli operatori forestali, non solo formandoli sulle buone tecniche di utilizzazione in sicurezza, ma anche ampliando le loro conoscenze sul valore ecologico, sociale e culturale dei boschi, sul funzionamento delle filiere forestali e su quelle dei servizi ecosistemici, così come sulle normative di riferimento, per renderli sempre più consapevoli del proprio ruolo nel contesto di una gestione selvicolturale sempre più sostenibile.

 

10 – Più selvi-CULTURA nella comunicazione

La selvicoltura deve entrare sempre più spesso all’interno di una nuova narrazione del bosco, lontana da stereotipi e inutili retoriche.

La selvicoltura più vicina alla Natura merita di essere raccontata, a tutto tondo, come un’operazione funzionale allo sviluppo dei territori e di servizi utili a tutti, in un’ottica di sostenibilità ecologica, sociale ed economica e di mitigazione e adattamento alla crisi climatica.

 

Per saperne di più

https://www.rivistasherwood.it/t/gestione/manifesto-selvicoltura-piu-vicina-alla-natura.html