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mercoledì, Marzo 12, 2025
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Mare politica e giustizia: note sulla vicenda della nave Diciotti.

Siamo di fronte a diritti che stentano a concordarsi: un diritto di sovranità, di mare e di umanità. Manca chi sia capace di coniugare gli interessi in gioco, aggiogandoli in una necessaria composizione.

La vicenda della nave Diciotti ha sollevato, come immaginabile, polemiche tra il mondo della politica e quello della magistratura. È un agitarsi che scuote la coscienza di ognuno e crea, a furia di sottigliezze, più divisioni che compattezza anche all’interno dello stesso schieramento.

È l’ennesimo esempio di opposizioni che ormai non si tengono più sotto al tappeto ma espongono la loro polvere e le loro macerie alla luce del sole. Il conflitto segna uno scontro tra le parti, un urtarsi reciprocamente, quasi una flagellazione fino a che non si riesca ad abbattere l’avversario. Si tratta di infliggere all’altro la propria supremazia.

È il vizio moderno di leggere ogni cosa in chiave di competizione e sopraffazione. In origine il conflitto aveva piuttosto una accezione positiva. Nel De Rerum Natura, il buon Lucrezio usava la parola “conflitto” per descrivere addirittura un incontro amoroso tra un uomo ed una donna, un confronto che induce alla massima intimità dei corpi, ad una unione piuttosto che ad una contrapposizione, un ardore ed una ricerca di armonia e non un contrasto.

Per andare alla sostanza delle cose, senza perdersi in pensieri e danni collaterali, adesso siamo di fronte a diritti che stentano a concordarsi: un diritto di sovranità, di mare e di umanità. Ciascuno ha un suo fondamento e il suo affondamento con cui fare debitamente i conti.

Sovrano discende dal latino ”rex”. Poi ci hanno pensato i Francesi, così ispirati, a coniarne la parola. Sta insomma per reggere o per governare ma vanta anche una sua radice che richiama ad un raggio che possa dare luce al proprio regno, illuminarlo con la propria conduzione.  Far brillare di gloria le sue terre è il compito del sovrano.

Per riuscire nell’intento dovrà usare necessariamente la sua capacità di imperio, mettendosi in una condizione di sovrapposizione rispetto ad altri, anche ricorrendo, se necessario, all’uso della forza. “Così ’l sovran li denti a l’altro pose” scriveva il Sommo Poeta ed è una lezione che non si è fatta nei secoli fatica ad essere seguita.

Anche il mare non è da meno ed ha una sua giustificazione pure il suo diritto, creando oggi un maremoto nello scenario istituzionale. Il mare ha un senso ambiguo, insieme di libertà e, non di meno, di morte a causa della sua infecondità per l’esser privo di vegetazione. Eppure, c’è anche un ulteriore significato che ne arricchisce la valenza, agevolando forse l’intreccio con la sovranità.

Il mare riconduce a ciò che è marmoreo, fermo come un re nel suo convincimento, ed anche scintillante, che dà lucentezza e splendore alla sua forma ed a chi lo ammira. Marmoreo, del resto, è lo sguardo di chi lo ammira e non riesce a distogliersene. Il mare si muove ma è sempre lì e ne restiamo per questo abbagliati. Morte e bellezza sono il binomio che lo caratterizza e che ne alimenta il timore ed il fascino.

“Noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”. Manzoni ci insegnava come da esso non possiamo prescindere, in moto perpetuo che alimentiamo e che ci alimenta e dal quale non possiamo sottrarci.

Dovremmo forse sottostare alla Talassocrazia e cioè al dominio del mare ed alle sue leggi. Chi dispone sulla terra ferma non sembra essere su questo, per sue ragioni, concorde. Forse siamo ammalati di talassemia, ci manca nel sangue quel tanto di globuli rossi da accenderci il faro della sapienza.

Infine c’è il diritto dell’umanità che reclama il suo desiderio di vita e di rispetto. Nasce dall’humus della terra ed a questa ritorna considerando l’apice della sua energia e del suo destino di fine.

 

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