Medio Oriente, quel costante disinteresse arabo per la causa palestinese.

Ognuno dei Paesi arabi gioca una sua propria partita regionale e, al di là della condanna generale nei confronti di Israele, non è minimamente interessato alla nascita di uno stato di Palestina.

La distruzione di Gaza prosegue e anche se il blocco delle operazioni militari israeliane dovesse realizzarsi domani, il che rimane altamente improbabile, il carico di morte e di odio che essa avrà generato non potrà essere scordato, accantonato. Così come non verrà mai dimenticato quello provocato dalla ignobile azione terroristica condotta da Hamas il 7 ottobre. La pacifica convivenza in quella parte del mondo rimarrà una chimera ancora per lungo, lunghissimo tempo.

Ciò detto, con grande tristezza ancor più alla vigilia del Santo Natale, in questa tragedia non può non colpire ogni attento osservatore il comportamento concreto, politico, del mondo arabo nel suo insieme, al di là dell’atteggiamento di facciata, aggressivo verso Israele e simpatetico (ma neanche troppo, a dire il vero) nei confronti dei palestinesi. In coerenza, del resto, con il disinteresse quando non anche l’ostilità da sempre dimostrati di fronte alla causa palestinese.

Il vertice dello scorso 11 novembre tenuto a Riad indetto dalla Lega Araba e dall’Organizzazione per la Cooperazione Islamica lo ha dimostrato una volta di più. Quello che accaduto, o, meglio, non è accaduto nelle settimane successive ha confermato, appunto, quel sostanziale disinteresse.

Ognuno di quei paesi gioca una sua propria partita regionale e, al di là della condanna generale nei confronti di Israele, non è minimamente interessato alla nascita di uno stato di Palestina. Questa è la realtà. Ed è bene averla presente.

Non solo. È realistico ritenere che i paesi arabi sunniti organizzino una vera collaborazione con la Repubblica Islamica dell’Iran, sciita, che sostiene Hamas e che gestisce una parte del Libano attraverso Hezbollah e insidia il Mar Rosso con i guerriglieri Houthy yemeniti? Oppure che sostengano davvero i palestinesi in cooperazione con la Turchia neo-ottomana di Erdogan il cui palese obiettivo è riconquistare il potere regionale ivi un tempo detenuto, oltre che – addirittura – assumere la guida dell’islamismo sunnita? No, non è realistico.

L’Arabia dei Saud non può permettersi alcuna perdita di influenza sul mondo islamico e deve contenere le mire espansioniste iraniane. Per farlo necessita ancora di una stretta alleanza con gli USA, anche se non disdegna il progetto alternativo BRICS+, al quale si è associata per non lasciarsi incastrare in un’alleanza col solo occidente che potrebbe – non è detto, ma potrebbe – rivelarsi perdente nel lungo periodo. La causa palestinese è l’ultimo dei suoi problemi. A maggior ragione essendo essa sostenuta dal Qatar, spina nel fianco nella penisola arabica che è costretta a sopportare.

L’Egitto del generale al-Sisi è nemico giurato del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, contro i quali organizzò a suo tempo il colpo di stato che lo ha portato al potere, e non può permettersi l’invasione del Sinai da parte di due milioni di palestinesi ed infatti ben si guarda dall’aprire il valico di frontiera di Rafah. La Giordania è terrorizzata da qualsiasi radicalizzazione della situazione, specie in Cisgiordania, ben sapendo che ne potrebbe nascere un serio problema per il regno, rimasto indenne ai tempi della Primavera del 2011 e ben determinato a non correre alcun rischio. Per cui basta una dura e accorata dichiarazione della fascinosa regina Rania e tutto può finire lì. La Siria dello sterminatore Assad non rinuncia al senso sprezzante del ridicolo quando denuncia il “massacro israeliano” di Gaza ma in concreto non può e non vuole fare nulla.

I paesi che hanno siglato gli Accordi di Abramo (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco, Sudan) non hanno alcun interesse a disdirli dopo la fatica fatta per approdarvi e farli digerire alle proprie popolazioni. Sapendo per di più che l’Arabia vuole pure essa aderirvi, anche perché così facendo otterrà dagli Stati Uniti importanti aiuti nello sviluppo del suo nucleare civile, ma ora non può. Domani però…

L’Iran sostiene i palestinesi solo in funzione anti-israeliana e per mostrare le contraddizioni sunnite e giocare un ruolo di potenza regionale e non certo per amore assoluto della causa di quel popolo negletto. Della Turchia si è detto, e comunque Erdogan sa bene che una rottura totale con Israele non è possibile per via della reazione che essa produrrebbe presso l’alleato americano, che nel frattempo ha ripreso spazio in un mare, il Mediterraneo, che stava quasi abbandonando.

Insomma, un insieme di ipocrisia e ambiguità che rende i palestinesi quello che sono sempre stati: deboli, e non aiutati davvero da alcuno. Costretti a misurarsi col proprio isolamento. Che crea spazio, purtroppo ma inevitabilmente, a chi predica la visione più estrema, la distruzione del nemico. A quelli come Hamas.