[…] Le elezioni del 2022 ci hanno fatti entrare in una terza fase, quella che potremmo definire dell'”oligocrazia” nella quale quattro o cinque leader controllano i principali partiti del Paese e la premier ha in pugno contemporaneamente il governo, la sua coalizione, il suo partito, le nomine nelle partecipate di Stato e soprattutto alla Rai (un potere che Berlusconi ebbe, in effetti, ma che non impedì alla Lega di far cadere il governo nel ’94, ai centristi di fare altrettanto nel 2005 e alla crisi economica – oltre che alla defezione dei finiani – di provocare la fine dell’ultimo governo del Cavaliere nel 2011).
Oggi la Meloni è il prototipo della disintermediazione assoluta: non si concede quasi mai alle conferenze stampa (almeno Berlusconi lo faceva), usa gli “appunti di Giorgia” per imporre la sua “narrazione”, gestisce il potere nel Paese, nel governo e nel suo partito dimostrando di non avere cedimenti o debolezze (peraltro, non ha un passato o un presente che la rendano ricattabile o indagabile, mentre il Cavaliere passava molto tempo a difendersi dai processi). La comunicazione della Meloni è unidirezionale, non c’è contraddittorio, è direttamente calata dall’alto. È come se avessimo già attuato l’elezione diretta del premier (a costituzione invariata, segno che il sistema è molto più flessibile di quanto sembri) perché se un provvedimento come la tassazione degli extraprofitti delle banche passa senza che un vicepresidente del Consiglio ne sappia qualcosa e con un ministro dell’Economia più o meno coinvolto nella scelta, è evidente che abbiamo una persona sola al comando (e Salvini che lo sa, ne soffre).
Berlusconi e Renzi, che attuarono anch’essi un misto di disintermediazione e di “partito del capo”, sapevano però confrontarsi con la stampa e talvolta anche con i followers (al fiorentino Twitter piaceva e non si risparmiava quando si trattava di rispondere ad alcuni utenti critici); ciò nonostante, finirono entrambi male: il Cavaliere perse nel 2018 la leadership (in voti) del centrodestra, dovendo persino vedere il nuovo capo Salvini fare un governo senza FI e FdI (senza poter dire nulla in contrario, perché la Lega era il primo partito dell’ex Cdl) mentre il fiorentino, dopo il successo alle europee, perse di fila il referendum costituzionale, la presidenza del Consiglio e (pesantemente) le elezioni del 2018, uscendo dal Pd per fondare un partitino personale. Tutta archeologia, ormai. Il presente è il potere “monarchico” della Meloni, ma anche l’impossibilità del M5s di avere una linea senza Conte o la ferrea presa di Salvini su una Lega più – a tratti – mugugnante che realmente riottosa, per finire con un Pd ormai in mano alla Schlein (ne sanno qualcosa i presidenti di regione che cercano un terzo mandato ma dipendono dal suo volere).
Tutti questi protagonisti della scena, più Calenda e Renzi nei propri partiti centristi, hanno il controllo ferreo dei soggetti politici principali del Paese. Sono leader che hanno solo followers: ascoltano spesso – almeno pare – più i sondaggi che la voce della “base”, forse perché è più facile e non comporta contestazioni od obiezioni. La nuova Repubblica è fatta di “cerchi magici”, di leader assoluti, di accentramento del potere in pochissime mani, di disintermediazione: in sintesi, è un’oligocrazia. Che però, dal punto di vista formale e in parte anche materiale, rispetta tutti i canoni democratici.
Fonte: MentePolitica – 2 settembre 2023
Titolo originale: Dalla partitocrazia all’oligocrazia
Sito: mentepolitica.it