In un calcio sempre più dominato dal business, da viziati milionari, da affari nazionali, europei ed internazionali e dove, tra l’altro, sono del tutto scomparsi l’italianità dei protagonisti da un lato e i grandi e storici punti di riferimento nelle varie squadre dall’altro, è di tutta evidenza che quando ricordiamo un triste anniversario come quello del 15 ottobre del 1967, che chiuse per sempre l’estro e la poesia di un calciatore come Gigi Meroni, continuiamo ad emozionarci e ad inchinarci.
Anche solo per ricordarlo, vedere la lapide che lo ritrae con la maglia granata nel corso Re Umberto a Torino, dove venne travolto ed ucciso in una domenica sera di ottobre grigia e piovosa, dopo una splendida vittoria al Comunale contro la Sampdoria per 4-2 e dove, e per l’ennesima volta, la “farfalla granata” aveva deliziato con la sua fantasia creativa migliaia di tifosi.
Il George Best italiano
Perché Meroni, a quasi sessant’anni dal giorno del suo triste e drammatico congedo, continua ad essere un sogno, una meteora che non tramonta, un calciatore controcorrente — il George Best italiano —, un segno dei tempi e, paradossalmente, un modello di come deve essere e di come deve vivere un calciatore.
Seppur già famoso e popolarissimo nella pubblica opinione. E non solo di Torino e del Piemonte, ma in tutta Italia.
Il simbolo di un calcio che non tramonta
E questo perché Meroni ha rappresentato, e continua a rappresentare, un calcio che non tramonta. Forse solo nell’immaginario collettivo, o nel sogno di chi lo ha visto giocare, o di chi ha letto la vastissima pubblicistica che racconta l’irripetibilità e l’originalità di quel personaggio e le straordinarie gesta che l’hanno accompagnato in tutti i campi verdi italiani dell’epoca.
Perché un calciatore può essere anche questo. E cioè, un riferimento etico, culturale e sportivo per intere generazioni, un “mito” — è il caso di Gigi Meroni, legato anche alla sua tragica scomparsa — a cui continuare a guardare e, infine, un uomo che con il concreto esempio in campo e fuori dal campo sapeva restare un uomo.
Seppur famoso e già molto richiesto dal mercato calcistico dell’epoca.
Una leggenda che resiste
Ecco perché, proprio in un contesto come quello del calcio contemporaneo profondamente diverso rispetto a quello degli anni ’60 e ’70 ma, comunque sia, sempre attraversato da straordinarie passioni e forti ed intramontabili partecipazioni popolari e di massa, il “mito” di Gigi Meroni, la storica ed intramontabile “farfalla granata”, non viene archiviato.
E continua a vivere, ad essere letto, riletto, osservato e reinterpretato.
Non è un caso se la doppia tragedia — quella del Grande Torino il 4 maggio 1949 a Superga e quella di Gigi Meroni il 15 ottobre 1967 — che ha travolto e sconvolto per sempre il popolo granata, sono delle date che non solo hanno scolpito la storia del calcio italiano ed europeo, ma anche due momenti, tragici, che fanno riflettere su che cos’è stato, e che cos’è, il calcio nella società.
E, con il calcio, chi ha saputo interpretarlo con dedizione, con professionalità, con coerenza e anche con talento. Diventando, appunto, come nell’esperienza di Gigi Meroni, un “mito” per sempre.