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sabato, 31 Maggio, 2025
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Milano e Roma, due visioni diverse per la tregua a Gaza

Gli appuntamenti del 6 e 7 giugno vedono i riformisti da una parte e la sinistra neo-movimentista dall’altra: due linee diverse. La doppia adesione dei “riformisti del Pd” mina la chiarezza del messaggio politico.

Venerdì 6 giugno al Teatro Parenti di Milano si terrà un’assemblea per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e l’apertura di un negoziato di pace. Un’iniziativa chiara, promossa dall’area riformista, alla quale hanno aderito anche i cattolici democratici di Tempi Nuovi.

A promuoverla sono stati Carlo Calenda e Matteo Renzi, tornati per l’occasione in sintonia dopo un lungo periodo di gelo. La loro posizione invoca e suggerisce realismo per dare forza alla prospettiva di pace

Il sostegno dei cattolici democratici

Si è fatta subito sentire la voce dei cattolici democratici di Tempi Nuovi. “Abbiamo alle spalle una politica estera lungimirante”, ha ricordato Angelo Sanza. “Gli statisti democristiani seppero adeguare alla realtà del Medio Oriente una visione che parlava di dialogo e riconciliazione. La Pira pregava per l’incontro tra i figli di Abramo. La sua profezia ci deve spronare oggi a chiedere la fine delle ostilità a Gaza. Basta con la guerra. Il governo ha fatto bene a correggere un indirizzo politico-diplomatico che appariva reticente. Ora serve una forte iniziativa dell’area riformista, sostenuta apertamente dai cattolici democratici”.

Nel Pd si profila un nuovo scontro

Anche i riformisti del Partito Democratico – da Guerini a Delrio, da Picierno ad altri – hanno deciso di partecipare all’iniziativa milanese. Ma contestualmente hanno annunciato la loro presenza anche alla manifestazione del 7 giugno a Roma, promossa da Schlein, Conte e Fratoianni.

La scelta della doppia partecipazione risponde evidentemente alla esigenza di preservare in qualche modo l’unità (finora incerta) del centrosinistra. Rischia però di legittimare una pericolosa ambiguità, perché ignora – o finge di ignorare – il tarlo dell’estremismo che si è insinuato nel tessuto della sinistra.

Vecchi slogan e nuove irresponsabilità

Ieri, in Sardegna, Giuseppe Conte ha rispolverato lo slogan “Palestina libera”, che negli anni ’70 infiammava i cortei di Lotta Continua e Potere Operaio. È un richiamo che occhieggia a un radicalismo anti-israeliano fondato sullo sdegno per l’escalation militare nella Striscia di Gaza ad opera di Netanyahu. Certo, bisogna a tutti i costi fermare un’offensiva che ha generato più di 50.000 morti, violando il rispetto per i diritti umanitari posti a difesa dei civili. Tuttavia, le speranze di pace richiedono uno sforzo di conciliazione, non la controproposta dell’oltranzismo.

Una scelta di campo, senza ambiguità

È tempo che i riformisti – ovunque collocati – si assumano la responsabilità di distinguersi per un dovere di chiarezza. Le due piazze sono diverse perché diverse – e in parte opposte – sono le piattaforme politiche. 

L’area riformista, potenzialmente rafforzata da un più diretto impegno dei cattolici democratici, esprime un’esigenza vitale di autonomia: una cultura della pace che non cede al populismo né alla radicalizzazione ideologica. Viceversa, la sinistra a guida Schlein si accomoda nello schema della pura contrapposizione proprio in funzione di un obiettivo che vincola la politica del cosiddetto campo largo al benestare dei 5 Stelle.  

Siamo giunti a un punto limite: prestare una “copertura riformista” a una sinistra neo-movimentista – e dunque poco riformista – significa  alimentare un equivoco che danneggia tutti. È il momento della verità.