Missione di pace africana in Europa: oggi in Ucraina, domani in Russia.

La svolta rappresentata dalla mediazione di alcuni Paesi africani per porre fine alla guerra russo-ucraina. Da guardare nello spirito con il quale Moro leggeva i grandi cambiamenti del suo tempo.

Per la prima volta nella storia moderna una missione di pace africana si propone come mediatrice, e ai più alti livelli, di un conflitto in un altro continente. E questo continente è l’Europa dilaniata dalla guerra in Ucraina. Oggi, 16 giugno, è previsto l’incontro della missione di pace africana con il presidente ucraino Zelensky e domani con quello russo Putin.

La delegazione è formata da sette capi di stato africani. Non è un esercizio di nozionismo citare i loro nomi, perché stanno entrando come nuovi protagonisti sulla scena internazionale. Si tratta dei presidenti: del Sudafrica, e presidente di turno del Coordinamento Brics, Cyril Ramaphosa; dell’Unione delle Comore, Azali Assoumani, e presidente dell’Unione Africana; della Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville), Denis Sassou Nguesso; dell’Uganda, Yoweri Museveni; del Senegal, Macky Sall; dello Zambia, Hakainde Hichilema e dell’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi.

Vi è anche un interesse diretto dell’Africa alla ricerca della pace tra Ucraina e Russia, legato alle forniture alimentari, e derivante dalla loro domanda di grano verso entrambi i Paesi belligeranti, e di fertilizzanti.

L’iniziativa è stata preceduta da un paziente lavoro diplomatico coordinato dal presidente sudafricano Ramaphosa anche per rimarcare il crescente ruolo dell’Africa anche in campo diplomatico. Il Sudafrica in particolare non ha mai inteso la guerra in Ucraina come una maratona, come l’ha definita ieri il segretario americano alla difesa Lloyd Austin alla Nato, ma come un conflitto regionale rispetto al quale il governo di Pretoria si è mantenuto neutrale, senza per questo rinunciare a intrattenere buoni rapporti con l’Occidente, come attesta anche l’accordo di cooperazione in materia di difesa siglato con il Portogallo (membro Nato e UE) durante la visita del presidente lusitano, Marcelo Rebelo de Sousa, in Sudafrica del 6 giugno scorso, preceduta il giorno prima da una telefonata tra Ramaphosa e Putin sulla missione di pace africana ora in corso e sul prossimo vertice Russia – Africa previsto a luglio a San Pietroburgo, che fa del Sudafrica uno dei principali snodi da cui passano i tentativi di ricerca di una soluzione diplomatica per il conflitto ucraino, dove possono avvenire, anche in forma indiretta, contatti che altrove, nell’emisfero boreale, apparirebbero ostici.

Questo aspetto sembra trovare conferma anche dal ruolo avuto nella preparazione dell’iniziativa di pace africana dalla Fondazione Brazzaville, ong britannica, fondata e diretta da Jean-Yves Ollivier, uomo d’affari francese e già consigliere del presidente Chirac. È stata proprio la sua fondazione a dare l’annuncio dell’iniziativa africana volta a esplorare modi che possano portare alla fine del conflitto che ha come sua causa più recente l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, confermando di aver favorito importanti incontri diplomatici preliminari.

L’incontro tra i presidenti africani e il presidente russo Putin, che segue quello odierno con il presidente ucraino Zelensky, si terrà domani in Russia a San Pietroburgo dove il leader del Cremlino è impegnato a conclusione dell’annuale Forum economico internazionale di San Pietroburgo, che sta diventando sempre più un punto di incontro per gli operatori economici del Sud Globale che negli anni hanno rimpiazzato, anche se non del tutto, la presenza occidentale.

Questa missione di pace avviene in una delle fasi più cruente della guerra, nella quale su entrambi i fronti non si lesina il sacrificio di vite umane anche solo ad uso di futili comunicati stampa di fine giornata atti ad alimentare la propaganda. Ma, indipendente dal suo esito, pone l’Africa alla ribalta internazionale, collocandola accanto alla Cina – che può vantare il successo della sua mediazione per la normalizzazione dei rapporti fra due storici nemici come Arabia Saudita e Iran, e che ha avanzato mercoledì scorso nell’incontro tra Xi Jinping e Abu Mazen, un piano in tre punti per risolvere la questione palestinese – tra i nuovi protagonisti della diplomazia globale.

Ci dovremo abituare ad altre iniziative di questo genere. È il mondo multipolare che sboccia, anche sulle praterie lasciate sguarnite da un Occidente che appare ad un tempo ipersicuro della sua autosufficienza e bloccato al suo interno da spregiudicati circoli di potere dell’ancien régime a inserirsi nella nuova realtà globale.

Un contesto al quale quanti, come i Popolari, rivendicano l’eredità di Aldo Moro, dovrebbero saper guardare con lo stesso spirito positivo con cui lo statista democristiano guardava ai tempi burrascosi del ’68, come ebbe a dire nel suo storico intervento al Consiglio Nazionale Dc quell’anno: “Il nostro dovere è oggi dunque estremamente complesso e difficile. Perché siamo davvero a una svolta della storia e sappiamo che le cose sono irreversibilmente cambiate, non saranno ormai più le stesse”.