Molinari, il centro e l’Italia: nell’aria volteggia una nuov semplificazione politica.
Perché non convince il sistema di “campi larghi transatlantici” contro i populisti proposto dal direttore di Repubblica. La missione del centro è ritrovare il consenso della classe media, non rattoppare progetti ormai anacronistici.
Giuseppe Davicino
Anche il direttore di Repubblica Maurizio Molinari domenica scorsa si è aggiunto alla scia degli autorevoli commentatori da sempre indifferenti, quando non ostili, alle forze politiche di centro ma che in questa complicata fase di cambio d’epoca si ricordano all’improvviso dell’importanza delle culture politiche che compongono il centro, e dell’importanza di dare risposta alle istanze delle fasce sociali intermedie per superare la crisi della democrazia.
A tal fine si cerca di arruolare anche settori del mondo cattolico moderato in un progetto internazionale, quello delineato nell’editoriale di Molinari su Repubblica, all’apparenza attraente e in vari punti formalmente condivisibile, ma che ad una attenta analisi risulta fondarsi su una piattaforma radical-chic declinata in una dimensione sovranazionale e unipolare, nella quale la netta apertura al centro assume il sapore di un disperato appello quasi a togliere le proverbiali castagne dal fuoco a dei gruppi dirigenti nazionali e inter-occidentali assuefatti ad operare come se lo status quo interno e internazionale post 1989 fosse immutabile, indiscutibile e senza fine.
Adesso che la maggioranza degli elettori, a causa del declino della classe media occidentale, volta loro le spalle, o decidendo di non partecipare alle urne, oppure compiendo scelte, criticabili quanti si vuole, verso populisti e sovranisti, ecco scattare in maniera concertata la repentina, e perciò sospetta, riscoperta delle virtù politiche del centro.
Il sistema di coalizioni, di campi larghi transatlantici, contro i populisti, caldeggiato da Molinari non fa innanzitutto un buon servizio a Kamala Harris la quale nell’auspicabile caso di sua vittoria avrà di fronte a sé la scelta di traghettare l’America nel nuovo multilateralismo per garantire quelle riforme sociali interne da lei annunciate per riconciliare il Partito Democratico con la classe media. Per realizzare tali riforme la Harris dovrà chiudere la porta, nella sua futura Amministrazione al “partito della guerra” – al quale il direttore del quotidiano italiano è ideologicamente affine – e dovrà ringraziare, per intenderci, gente come Jake Sullivan o Victoria Nuland, del lavoro svolto così bene al punto che gli Stati Uniti ne potranno ragionevolmente fare a meno per il futuro.
Perseguire invece una perpetuazione dell’unilateralismo americano che, passando dai numeri risicati della Francia di Macron, si irradia a centri concentrici all’intera Ue, privata delle sue legittime ambizioni di superpotenza globale, e in un ruolo del tutto subalterno, all’Italia, appare una operazione allo stesso tempo nostalgica, anacronistica e velleitaria, stante il fatto che il mondo è divenuto molto diverso da come se lo immagina Molinari.
Ecco perché quei cattolici che si collocano al centro – a prescindere da quelle che siano le loro concrete e pluralistiche opzioni politiche contingenti – a mio parere, non possono ridursi a utili portatori d’acqua al mulino di un mondo che qualcuno, seppur potentissimo, vorrebbe riesumare.
E visto che l’attenzione di vari editorialisti di Repubbica sembra rivolgersi soprattutto al soggetto in questo momento oggettivamente più consistente del centro, Forza Italia, non si può fare a meno di rilevare che anche la dirigenza di Forza Italia deve stare ben attenta a non cascare nella trappola tesa al centro dal giornale fondato da Eugenio Scalfari. Da questo punto di vista almeno la fiera appartenenza al Ppe di Forza Italia, la sua crescente distinzione dalle componenti di destra del governo Meloni, sembrerebbero deporre a favore di una strategia, ripetutamente annunciata dal segretario Tajani, volta a portare il centro, un centro plurale e aperto, necessariamente capace, aggiungo, di andare oltre i confini di Forza Italia, ad essere la prima forza politica del Paese, anziché ridursi ad essere lo zerbino di quelle forze internazionali rappresentate in Italia dalla Schlein, delle quali Repubblica è da sempre l’house organ.