A leggere Calenda s’impara a capire Calenda. Oggi sul Foglio inanella velocemente idee, propositi, congetture, ma anche spropositi. Gli piace, ad esempio, disonorare il prossimo evocando Forlani, perché s’è capito che a lui Forlani non piace. Per farlo capire, e forse anche per acquisire meriti di fronte alla giuria per il Gran Premio dell’intelligenza sprecata, non bada a un obbligo di misura, se così si può dire, come pure esigerebbe l’onesto confronto delle idee. Allora lo sproposito consiste nel vagheggiare una somiglianza della prudente Meloni di governo, ben diversa dall’agitata leader dell’opposizione radicale di destra, con il politico democristiano scomparso proprio di recente, identificato con il male assoluto della prudenza secondo la teologia repubblicana di Calenda.
In realtà, lo stile dell’uomo è nel suo essere spiacente anche a se stesso. Costruisce monumenti alla serietà, ma poi scivola sulla mancanza di serietà: cos’altro significa candidarsi a Sindaco di Roma e subito dopo, a scorno di un obbligo di serietà di fronte all’elettorato, fuggire dal Campidoglio per una evidente mancanza d’amore verso la propria città? Meglio dedicarsi al qualunquistico gioco della esagerazione nella dialettica tra politica senza qualità e lampeggianti scenari di bene. Per questo tra lui e Renzi non c’è partita: vince per automatico riconoscimento della propria aderenza alla politica di qualità, ovvero a quella politica che normalmente si colloca altrove, lontano da noi, nel blu dipinto di blu. Calenda è il monumento a se stesso.
Ecco pertanto la formula che illumina tutto. Cosa propone al popolo italiano? Risposta: “Un grande partito repubblicano, non banalmente centrista ma riformatore, che compete nell’area afferente a Renew insieme, spero, agli amici liberaldemocratici e a quelli di +Europa”. E finalmente dai radar di questo progetto spariscono i popolari, evidentemente rialloccati nell’ambito del centrismo banale o di scarsa fedeltà al riformismo à la Calendà.
Rimane il discorso su Draghi. Qui si va sul velluto, perché Draghi val bene una messa, anzi due, forse anche tre. Può fare tutto e Calenda, diligentemente, lo candida a tutto. In Italia può prendere il posto di Mattarella, in Europa quello di Ursula von der Leyen. È un menù variegato, basta che il popolo si decida una volta per tutte, dando a Calenda la bacchetta del direttore d’orchestra. Bisogna solo affidarsi, anche a dispetto della realtà e del buon senso, perché Calenda…bisogna capirlo. Questa è la vera parola d’ordine, questa la scommessa vincente.
P.S. Evviva Forlani