Nel giro di poche ore il dibattito politico ha preso una piega inaspettata. Si benedice da più parti l’ammucchiata per vincere contro la destra. Tuttavia, a differenza di Calenda, Renzi non enfatizza la necessità dell’alleanza a tutto campo – e poco importa che questo campo sia largo come dice il Pd o giusto come precisa il M5S – nelle elezioni regionali. Nel ragionamento di Calenda irrompe un’indizio di inutile sbrigatività, perché l’osservazione sul sistema maggioritario a turno unico, penalizzante le liste autonome rispetto ai due schieramenti contrapposti, si presta a una interpretazione spiacevole: dietro una semplice constatazione avanza lo spettro della resa alla ineluttabilità di un neo-frontismo riammodernato. In questo modo si favorisce lo scivolamento del Pd nella palude del sinistrismo e si regala spazio alla destra quale unico sbarramento all’avanzata dei barbari. Anche le aperture di Conte, per il quale si discute con tutti (v. Calenda) a patto di non incorrere in conflitti d’interesse (v. Renzi), allungano un’ombra di strumentalità a tutto danno del profilo antipopulista che il leader di Azione ha sempre tenuto a rivendicare.
Calenda, ancora una volta, ha agito d’istinto. Ebbene, proprio l’intempestività dell’uscita, unitamente alla sua implicità ambivalenza, accresce il rischio di una percezione negativa da parte della pubblica opinione. Con quali conseguenze in vista delle elezioni europee, è facile da prevedere.
Diversa, appunto, l’analisi di Renzi. Il risultato della Sardegna non deve spingere a conclusioni affrettate. “C’è una sconfitta clamorosa – dice l’ex premier – di una donna, Giorgia Meloni, che ha voluto umiliare i suoi alleati, scegliendo un candidato, Truzzu, arrivato con 18-19 punti sotto la Todde a Cagliari, città che lui amministra. Quindi, da questo punto di vista la sconfitta è chiara”. E poi ha aggiunto: “C’è una vittoria oggettiva dell’asse Pd-M5S che, credo, adesso si rafforzerà moltissimo. Questo per noi è un’ottima notizia perché apre uno spazio, molto difficile da gestire alle regionali dove si vota a turno secco, ma interessante per chi non vuole l’Italia dei manganelli della destra e non vuole l’Italia dei sussidi del Movimento 5 Stelle. Dunque, ha concluso, “il Pd si grillizza, la destra si estremizza, e ciò libera per le europee uno spazio straordinario al centro”.
Non si può negare come nel ristagno di argomenti viziosi emerga con questo discorso un’intenzione coraggiosa e impegnativa, per la quale ogni passaggio e ogni accortezza risulteranno decisivi, per non ridurre l’ambizione di quel che potremmo definire “progressismo di centro” una formula insipida, fatalmente erosa dal mero gioco di posizionamento. Un di più di passione e rigore è quanto serve, se si fa sul serio, per dare senso alla sfida.