La storia del divario tra Nord e Sud è un’eredità del passato che continua a condizionare il presente. Sin dalla nascita dell’Italia unita, la “questione” è rimasta irrisolta, seppur affrontata con maggiore impegno nel secondo dopoguerra, dai nuovi partiti alla guida della Repubblica tra gli anni ’50 e ’60, capaci di promuovere politiche di sviluppo come la Cassa per il Mezzogiorno, in una fase politica in cui prese forma quella che si può definire la democrazia sociale (concetto espresso da Paolo Pombeni, Il valore sociale della manovra, “Il Messaggero”, 29 agosto 2024)
Oggi, il tema è tornato al centro del dibattito politico, alimentato da una narrazione spesso semplificata e stereotipata. L’immagine del Mezzogiorno come una “palla al piede” per lo sviluppo del paese è un cliché persistente, utilizzato strumentalmente per giustificare diseguaglianze, mancati investimenti e, troppo spesso, per catturare facili consensi.
La rappresentazione dei territori meridionali come una sorta di blocco indistinto incapace di cogliere e seguire la via della modernità è una semplificazione che distorce la realtà e alimenta divisioni inutili.
In questa prospettiva, si può recuperare una lettura sulla storia dei pregiudizi antimeridionali e, soprattutto, sull’uso (populista) che dei medesimi si è fatto e si continua a fare, per cercare di superare questa visione distorta (A. De Francesco, La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale, Feltrinelli 2012).
Solo riconoscendo la complessità delle cause del divario, si possono affrontare, insieme, le possibili soluzioni in grado di produrre politiche efficaci e uno sviluppo equilibrato del paese.
Il tema è serio e merita riflessioni altrettanto argomentate, come quelle recentemente espresse da Mons. Francesco Savino (“la Repubblica”, 28 agosto 2024), dove, intorno al dibattito sull’autonomia differenziata, fa emergere le preoccupazioni sul rischio della creazione di “due Italie: una prospera, l’altra abbandonata a se stessa”, che riflettono un timore diffuso sulla riforma e, di conseguenza, sulla coesione nazionale.
In questo scenario, l’invocazione, singolare, di un “nuovo Risorgimento”, a distanza di oltre un secolo e mezzo, suggerisce l’urgenza di un rinnovato impegno collettivo per promuovere valori quali la giustizia sociale, la sussidiarietà, la cittadinanza.
L’appello ai giovani a studiare del vice presidente della CEI, va proprio in questa direzione, vale a dire quella di contribuire a costruire un paese più giusto in un futuro comune.