Quando si parla di coerenza o di lungimiranza o di fedeltà ad una cultura politica – nello specifico alla tradizione e al patrimonio ideale del cattolicesimo popolare e sociale – nessuno pensa di distribuire pagelle o, peggio ancora, di credere di essere il depositario esclusivo e principale di quel pensiero. Certo, non mancano eccezioni al riguardo. Ma chi compie operazioni del genere oltre ad essere semplicemente ridicolo rischia anche di esporsi ad un esercizio macchiettistico. Soprattutto quando questo esercizio viene praticato all’interno di partiti che hanno un’altra ragione sociale o che fanno riferimento ad altre culture politiche.
Ora, non è il caso di soffermarsi al riguardo perché gli esempi sono noti a tutti. Almeno a chi li vuol vedere. Ma, se vogliamo citare quattro soli casi macroscopici, è di tutta evidenza che la tradizione, la cultura e i valori del popolarismo di ispirazione cristiana e la stessa esperienza storica del cattolicesimo sociale italiano non sono facilmente compatibili con la sinistra radicale, massimalista, estremista e libertaria della Schlein; né con il sovranismo clericale della Lega salviniana; né con il populismo anti politico, qualunquista e demagogico dei 5 Stelle e né, infine, con il laicismo liberista e tardo repubblicano dei Calenda di turno.
Certo, non è affatto sufficiente limitarsi alla cosiddetta “pars destruens” perché, nella vita come nella politica, quella che conta è la cosiddetta “pars costruens”, ovvero la capacità di indicare una strada, una prospettiva e un progetto credibili perché coerenti con la propria storia e la propria tradizione culturale e valoriale. E, sotto questo versante, non esiste una sola ricetta. Vuoi perché persiste da anni un legittimo e del tutto fisiologico pluralismo delle varie opzioni politiche da parte dei Popolari e vuoi perché, altrettanto legittimamente, non esiste un solo percorso politico in grado di unire i Popolari sotto lo stesso tetto.
Detto questo, però, è indubbio che il momento è propizio, come ricordava su queste colonne Beppe Fioroni in una suggestiva riflessione commentando la candidatura del radicale Cappato nel collegio uninominale di Monza, perfavorire una oggettiva ed indispensabile “ricomposizione” dell’area popolare nel nostro paese. Del resto, seppur nel rispetto di tutte le opinioni e delle varie scelte politiche, com’è pensabile di poter dispiegare la propria cultura politica in soggetti che perseguono pubblicamente e platealmente un disegno politico distinto, distante se non addirittura alternativo rispetto alla centenaria tradizione del popolarismo italiano? Perché anche le singole, ed umanamente comprensibili, convenienze personali o di gruppo o di corrente hanno un limite che non si può oltrepassare, pena ridicolizzare la propria esperienza e la stessa cultura che virtualmente si pensa di poter rappresentare. Dopodiché, se vogliamo essere realisti e non ipocriti od ingenui, tutti sappiamo che oggi non esistono affatto le condizioni politiche per dar vita ad un partito/movimento identitario ed esclusivo. E tutti i tentativi che in questi ultimi 30 anni sono andati in quella direzione sono miseramente falliti. Perché irrilevanti a livello politico e non pervenuti sul versante elettorale.
Ecco perché, infine, recuperando un profilo che storicamente ha contraddistinto ed accompagnato la miglior esperienza del cattolicesimo popolare e sociale del nostro paese, forse è giunto proprio il momento per rideclinare nell’attuale contesto politico italiano, quel progetto riconducibile ad un Centro dinamico, riformista, plurale e di governo che da un lato può dare uno scossone a questo maldestro bipolarismo e, dall’altro, può contribuire a riscoprire un “pensiero” che in questi ultimi tempi ha proseguito il suo cammino con la sola inerzia. Senza passione, senza convinzione e, purtroppo, anche senza coraggio e determinazione. Detto in altri termini, si può finalmente aprire una nuova fase politica anche per il popolarismo e per una cultura politica che è stata e che resta decisiva per la qualità della nostra democrazia, per la credibilità delle nostre istituzioni e per la stessa efficacia dell’azione di governo.