Paesi Baltici, l’avvertimento di Putin è motivo di grande allarme.

Imbaldanzito dal miglioramento della guerra in Ucraina, certo della vittoria alle prossime elezioni, confidente nel ritorno di Trump, Putin guarda al Baltico con gli occhi di chi lo considera il proprio mare.

Su questo giornale abbiamo già parlato, tempo fa, del Suwalky gap, ovvero quel tratto di circa 80 km che separa la Polonia dalla Lituania e che congiunge Bielorussia e Kaliningrad, enclave russa sul Mar Baltico: se la Russia lo occupasse – azione tutt’altro che impossibile, considerando la subalternità totale di Minsk a Mosca – le tre nazioni baltiche rimarrebbero isolate, separate dai territori NATO che oggi esse possono raggiungere via terra proprio attraverso quel corridoio.

Ebbene, questa preoccupazione che ai più in occidente appariva come una semplice ipotesi di scuola (ma che invece in quei tre paesi è sempre stata considerata con forte preoccupazione) è divenuta ora più concreta, ritenuta possibile se non addirittura probabile dall’intelligence tedesca, come ha riportato Bild, quotidiano di Amburgo a larga diffusione europea. 

Al punto che la NATO nel suo vertice tenuto la scorsa estate proprio a Vilnius, capitale lituana sita a 30 km dal confine bielorusso, ha deciso di tenere nei prossimi mesi una imponente esercitazione militare (cui è stata assegnata una titolazione significativa, Steadfast Defender, Difensore costante)  che impegnerà le forze di tutti i suoi 31 paesi e che si svolgerà in Germania, Polonia e, appunto, in Lituania, Lettonia ed Estonia.

È invece di pochi giorni fa la notizia dell’accordo raggiunto fra questi tre paesi per costituire una “struttura di difesa” posizionata ai confini con Russia e Bielorussia. Una iniziativa avente lo scopo dichiarato di “difendersi da minacce militari” che non solo i politici ma anche la gente comune teme seriamente, e non da oggi. Ancora troppo recente è il ricordo dell’occupazione sovietica, ben presente nelle generazioni di mezzo, oltre che in quelle più anziane, terminata nel 1991 a cinquantun anni dall’annessione definita dal patto Molotov-Ribbentrop. Mezzo secolo di privazione della libertà e di sottomissione che non è stato dimenticato e che genera un costante senso di insicurezza, di timore di una nuova invasione da parte dell’Orso russo.

Timore che si è andato rafforzando nei mesi seguiti all’avvio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina e che è arrivato allo zenit lo scorso settembre allorquando Putin aveva accusato i tre paesi di “propaganda nazista”, ovvero la stessa diffamazione rivolta agli ucraini, aggiungendo che Mosca non avrebbe più consentito alcun attacco ai diritti delle minoranze russe presenti in quei paesi. Avvertimento concretizzato nelle scorse settimane con l’ordine impartito al suo governo di “proteggere i diritti dei russi all’estero e di adottare misure in caso di deportazione illegale” in seguito alla decisione di Riga di esigere un certificato di conoscenza della lingua lettone ai russi e ai bielorussi ai fini del rinnovo del loro permesso di soggiorno.

Imbaldanzito dal miglioramento del fronte di guerra in Ucraina, certo di una vittoria elettorale che lo rinsalderà al potere per i prossimi anni, confidente nel ritorno di Trump alla Casa Bianca, Vladimir Putin guarda al Baltico con gli occhi di chi lo considera il proprio mare. Tutto. 

Non è un caso se Svezia e Finlandia hanno voluto entrare nell’Alleanza Atlantica. E non per caso il comandante delle Forze Armate di Stoccolma ha detto agli svedesi – si spera volendo solo esasperare il concetto per farsi ascoltare dai connazionali – di “prepararsi mentalmente” ad una possibile guerra. Scenari da incubo all’orizzonte. Meglio non sottovalutarli, per agire in modo che tali rimangano senza mai tramutarsi in tragica realtà. Mai.