È ormai noto a tutti che ci sono alcuni partiti che ormai stanno progressivamente esaurendo la loro funzione politica e storica. Un tempo si sarebbe detto, dalle parti dei comunisti italiani, che “hanno esaurito la loro spinta propulsiva”. Per tornare all’oggi, non possiamo non prendere atto che il ruolo, la funzione e la prospettiva del Partito democratico da un lato e di Forza Italia dall’altro sono entrati in un vicolo che difficilmente potrà ancora vederli come elementi centrali e determinanti dei rispettivi schieramenti. Non a caso, il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica italiana arrivando al punto di cancellare, forse definitivamente, la tradizionale competizione fra quel centro sinistra e quel centro destra. Sul versante del centro destra, è del tutto evidente che quella coalizione – semprechè esista ancora – ha un solo grande e massiccio azionista: la Lega di Matteo Salvini. Il resto, come si suol dire, è del tutto marginale. Nel campo del centro sinistra, invece, abbiamo un Partito democratico che continua regolarmente e stabilmente a perdere tutte le elezioni. Locali e nazionali. Diventa francamente difficile pensare che attorno a quel partito possa rinascere un sistema di alleanze capace di porsi come alternativa credibile e competitiva rispetto agli schieramenti avversari. Oltretutto si tratta di un partito caratterizzato da una persistente faida interna che vede schierate le varie bande in contrasto l’una contro l’altra. È appena sufficiente registrare ciò che capita quotidianamente da quelle parti per rendersi conto che oggi il Pd non può più giocare quel ruolo che ha esercitato per alcuni anni con la guida di Veltroni prima e di Bersani poi.
Dunque, dando per scontato che si deve ritornare alla “cultura delle alleanze” e quindi archiviare definitivamente la strampalata “vocazione maggioritaria” di renziana memoria e quindi della concezione arrogante dell’esclusività di un solo partito al potere o all’opposizione, sono 2 le condizioni decisive che, da adesso in poi, sono sempre più necessarie per affrontare la situazione che si è venuta a creare dopo il voto del 4 marzo e confermate ogni volta che si vota in qualunque angolo d’Italia.
Innanzitutto devono ritornare protagoniste le identità politiche e culturali dopo il clamoroso fallimento dei partiti plurali. Identità indubbiamente aggiornate e riviste, ma identità. A cominciare dalla tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale che nel nostro paese è sempre stata protagonista in tutti i tornanti decisivi della storia democratica. Accanto, com’è ovvio, alla rinata destra, ad un perdurante populismo anti sistema e ad una sinistra oggi un po’ sbandata e disorientata ma comunque indispensabile e necessaria.
In secondo luogo va rilanciato e valorizzato un “civismo politico e culturale” che oggi fa la differenza in molte competizioni elettorali. In particolare nelle elezioni locali. Un civismo che in un contesto sociale che nutre profonda sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali può essere un veicolo che rilancia la partecipazione politica e, al contempo, rinnova profondamente la geografia politica dell’intero paese. Dal civismo passa, forse, anche il rinnovamento della politica italiana.
Attorno a queste 2 condizioni la politica italiana può uscire dall’impasse in cui si trova. Purché non si continui a pensare a partiti che ormai hanno fatto il loro tempo e che, continuando la loro stanca azione politica quotidiana, non fanno altro che far emergere la necessità di avere nuovi soggetti, nuove politiche e nuove coalizioni.