La spinta per una nuova offerta politica è sempre più forte. In molti si chiedono cosa sarebbe accaduto se a gestire la crisi in Ucraina ci fosse stato il governo giallo-verde. La storia repubblicana dimostra che le culture del centrismo italiano, se divise nei “cespugli” delle finte coalizioni di destra e sinistra sono irrilevanti, se unite tra loro sono capaci di ricostruire l’Italia. Il centro deve essere e sarà un’idea nuova. Diamo ospitalità a questo intervento di un amico vicino alle idee che attraversano il dibattito de “Il Domani d’Italia”. La redazione, in ogni caso, lascia all’autore la responsabilità di legare la riorganizzazione del centro a una prospettiva di collocazione a livello europeo nell’ambito delle forze di centrodestra o di destra.

Le elezioni del 2018 ci hanno consegnato un parlamento bi-populista, una classe dirigente che urla, sgomita e fa a gara a chi la “spara più grossa”. La demagogia con la quale si “raggirano” i “clienti-elettori” è sotto gli occhi di tutti, almeno di chi ancora vuol vedere.

 

Dal 2018 ad oggi, molti cittadini volenterosi hanno chiesto a gran voce una nuova offerta politica in grado di superare il populismo di destra e sinistra, ma dopo le scene viste per l’elezione del presidente della Repubblica, la richiesta dal basso sembra trovare maggiore ascolto. Tale richiesta però necessita di una base organizzata e radicata. Sui social, ma anche parlando con colleghi, amici e parenti, la spinta per una nuova offerta politica è sempre più forte. In molti si chiedono cosa sarebbe accaduto se a gestire la crisi in Ucraina ci fosse stato il governo giallo-verde, solo a pensarlo mi vengono i brividi.

 

Una vera e concreta offerta “centrale” non è ancora presente nello scenario politico, nonostante ciò, molti sondaggisti stimano il potenziale bacino elettorale al 15%. A questo potenziale bacino, vanno sommati tutti gli astensionisti che si auto-dichiarano di “centro” e che se convinti della bontà del nuovo progetto politico potrebbero diventare voti, tanti voti.

 

La bontà della proposta dipenderà dalla chiarezza dei valori di riferimento, dalla classe dirigente, dalla forza delle idee e dalla proposta programmatica che dovrà essere credibile e realizzabile. Di certo il “centro” che sogno, per cui nel mio piccolo mi impegno quotidianamente, non è quello che descrivono alcuni opinionisti e giornalisti: grande centro, centrino, centricchio, la nuova DC, il ritorno della balena bianca, la grande ammucchiata, ago della bilancia. Si sono divertiti molto a definire il nuovo progetto come già vecchio, pensando a qualcosa che ricorda il trasformismo, i giochi di palazzo, i tatticismi e l’autoconservazione.

 

Il nuovo progetto politico centrale, che ribadisco è indipendente e autonomo dai populisti e dai sovranisti, non è uno spazio da occupare, ma un’idea innovativa. È l’incontro pragmatico tra culture politiche solide: riformismo, liberalismo e popolarismo. Queste culture politiche hanno già contribuito a rendere grande il nostro Paese e quando ci sono riusciti, governavano insieme. La storia repubblicana dimostra che le tre culture del centrismo italiano, se divise nei “cespugli” delle finte coalizioni di destra e sinistra sono irrilevanti, se unite tra loro sono capaci di ricostruire l’Italia.

 

Questo nuovo processo, lungo e faticoso, ha bisogno non di un federatore capace di riunire le varie sigle, ma di una forza culturale e politica che venga dal basso. Una spinta positiva e senza interessi personali, mossa da riferimenti ideali come l’europeismo, la valorizzazione e l’attuazione dei principi della Costituzione, il rispetto per ogni persona umana e la tutela dell’ambiente, l’integrazione tra gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana e l’economia sociale di mercato. Quattro riferimenti su cui costruire un nuovo “centrismo” per un programma di governo. Questo è il “centro” che sogno, non quello descritto nel gossip.

 

Dopo trent’anni di bipolarismo forzato non sarà un progetto immediatamente realizzabile, ma è possibile immaginare un percorso. Il primo passo potrà essere la formazione di una federazione di centro alle prossime elezioni politiche. Una federazione che abbia pochi punti programmatici chiari e realizzabili, scaturiti dai riferimenti ideali sopracitati. Una struttura organizzativa unitaria e coesa, capace di eleggere il leader (non il capo) dal basso. Ogni partito, movimento, associazione aderente potrà mantenere così la propria identità e organizzazione. Non un partito unico, sarebbe un miscuglio troppo frettoloso, ma un’organizzazione tra diversi partiti che condividono le scelte politiche in una federazione. Tra le regole democratiche della federazione, dovrà essere chiara che sui temi eticamente sensibili prevarrà la coscienza di ognuno, altrimenti sappiamo tutti come finirebbe, l’unità forzata su tutto non reggerebbe.

 

Altra regola fondamentale, da chiarire subito, è il posizionamento tra i banchi del parlamento europeo. Inutile cercare una posizione unitaria in presenza di due gruppi di riferimento come Renew Europe e PPE. Ogni componente aderirà al gruppo europeo che ritiene più vicino alla propria identità. Meglio chiarire subito ciò che è stato fonte di divisioni nelle precedenti esperienze, meglio un processo a tappe che una lista elettorale che si frantuma il giorno dopo il voto cercando invano una unità su tutto.

 

Presentarsi alle politiche divisi significherebbe o non raggiungere la soglia di sbarramento scritta o non scritta, oppure fare la “lista cespuglio” a destra o sinistra. Il digitale sarà fondamentale per la partecipazione attiva, dei cittadini sostenitori, alle scelte della futura federazione, ma servirà un approccio dei leaders aperto e disponibile. Il centro sarà un’idea nuova, con processi innovativi, con un pensiero politico solido e con la partecipazione attiva dei cittadini.

 

Abbiamo un anno per farlo, per favore non sprechiamolo.