La discussione sui cattolici in politica rischia di provocare ancora più confusione di quella che c’è già nei fatti, dopo i risultati elettorali dello scorso 4 marzo.
Si continua a parlare di una entità astratta che, in realtà, è variegata, composita e persino mutevole, soprattutto quando si parla del voto dei cattolici.
Si prosegue nel dimenticare, se il senso della Storia ha ancora un senso, che l’ispirazione cristiana ha portato un elemento nuovo e forte solamente attraverso la costruzione di un pensiero ideale, e concreto al tempo stesso, frutto del cattolicesimo popolare e democratico europeo ed italiano.
Per fare ciò, quel tipo specifico di cattolici ha creato una rete di relazioni ed attività sociali e, quindi, politiche ben precise. Grazie a questa presenza è stato rafforzato lo spirito democratico e solidaristico in buona parte dei paesi del Vecchio continente, per una durata rimarchevole nel tempo.
Al di fuori di questa ben caratterizzata presenza non c’è mai stata una partecipazione organica alla vita politica da parte dei cattolici. Altri frutti non abbiamo visto maturare a seguito della loro dispersione dietro altre forze politiche.
Tutto ciò è mutato quando anch’ essi hanno accettato la ventennale logica del bipolarismo e della contrapposizione aprioristica tra fronti antitetici, ad entrambi i quali è rimasta del tutto estranea la ricchezza e la complessità del pensiero democratico cristiano.
Da questo “ peccato originale” è nata la divaricazione ricordata dal cardinal Gualtiero Bassetti tra quelli “ dell’etica” e quelli “ del sociale”.
Un intervento del professor Leonardo Becchetti su Formiche, ripreso ieri anche da Il Domani d’Italia, ed i tanti che nelle sorse settimane hanno partecipato alla discussione sulla presenza dei cattolici italiani in politica, ultimo quello del professor Alessandro Campi su Il Messaggero, hanno il pregio, così, di confermare diverse cose. Quello del professor Becchetti ha dei pregi in più, come cercherò di spiegare nel corso del ragionamento.
La prima: il problema del ritorno dei cattolici all’impegno politico organizzato esiste. Non è un caso che tutti ne parlino con rinnovato vigore e tutti cerchino la relazione con i cattolici e, soprattutto, provino ad attirare i loro voti.
Tra politici, associazioni e gruppi inseriti nel nostro mondo non si fa altro che parlare dello sconquasso provocato dal 4 marzo. Speriamo che alcuni di essi riflettano anche sulla quota di responsabilità assunta da loro stessi nel provocare lo sconquasso e a non ripetere errori, oramai, ben indentificati.
La seconda: gran parte del parlare in corso finisce per uscire dal piano della politica e traslocare su quello più contorto e, a volte fumoso, della politologia.
Si rischia cioè di non tener conto delle vicende storiche e dei meccanismi concreti che hanno portato all’ininfluenza ed all’afonia di quanti guardano alla politica come una delle esplicazioni concrete della propria ispirazione religiosa ed ideale.
Questo, invece, il primo merito che vedo nell’intervento del professor Becchetti: la stretta aderenza ad una visione politica intenzionata a muoversi sul piano di una progettualità realistica e sostenibile.
La carenza di analisi in molti altri porta, inevitabilmente, a far perdere il collegamento con la forza delle cose e a trascurare l’importanza di quei punti fondamentali attorno cui un ragionamento possa e debba effettivamente essere avviato.
Mi permetto di dire al professor Campi, ad esempio, che il voto della Baviera giunge ben dopo, molto dopo, la dissoluzione del movimento dei democratici cristiani francesi, la crisi di quelli belgi ed olandesi, eccetera eccetera. Il voto bavarese di domenica scorsa ha poco a che vedere con la situazione del cattolicesimo politico italiano dell’oggi, più antica di almeno cinque lustri. Da quando, cioè, è iniziata la cosiddetta diaspora.
Sempre per quanto riguarda l’intervento del professor Campi, mi permetto anche di sottolineare che andrebbe approfondito il concetto secondo cui il voto cattolico si “ smarca” dalla Chiesa. Non so dove si possa cogliere questo smarcamento tra due dimensioni completamente diverse tra di loro.
Mi sembra chiaro, invece, che proprio il messaggio di Francesco stia rianimando una realtà composita di cristiani dopo che, già con Benedetto XVI, questa ha cominciato a cogliere con attenzione nuova il segno dei cambiamenti in atto, dentro e fuori la Chiesa.
Mai come oggi i cristiani si interrogano sui grandi problemi del mondo: dall’individualismo, sfrenato e distruttore delle relazioni economico sociali, ai problemi dell’etica, a quelli dell’economia finita preda di una “ finanziarizzazione sbagliata”.
Finalmente, come invitava a fare già la Populorum Progressio, siamo costretti ad alzare lo sguardo verso una dimensione adeguata e riuscire a cogliere il legame sempre più stretto tra le questioni domestiche e quelle internazionali che tanto influenzano e condizionano le prime.
In qualche modo, la Chiesa ha confermato e conferma un’ampiezza di prospettiva che manca ai cattolici italiani, oltre che ai gruppi dirigenti nazionali.
Potremmo dire con un pizzico di esagerazione, forse, che si sono invertite le posizioni rispetto a quello che accadde con Rosmini, con il Partito Popolare di Sturzo, con Dossetti e con i democristiani fino al Concilio Vaticano II.
La relazione con la Chiesa, dunque, va oltre il problema del voto che ciascuno di noi porta nell’urna. Attimo carente e limitato di democrazia a fronte di una portata mondiale dei problemi, destinati a sfuggire ad una possibilità concreta di intervento se tutto rimane in una dimensione esclusivamente domestica.
E’ vero, pur tuttavia, che molti di quei voti possono finire per rivelarsi anche con una scarsa aderenza a quei principi generali cui ci si riferisce e si professano.
In politica, come nei seggi elettorali, è scontato che talune contraddizioni si presentino quando manchi una presenza chiara ed organica, capace di offrire un’alternativa valida e credibile rispetto ad altre opzioni.
Terzo: si parla, dicevo già agli inizi, del voto di un mondo cattolico fotografato in termini generali e generici. Esso, in realtà, non ha e non ha mai avuto in Italia una delimitazione precisa perché, a differenza di altri paesi, soprattutto nel centro Europa, non è mai esistito un “ partito cattolico”.
Bensì organizzazioni ispirate cristianamente, ma aconfessionali, le quali si sono definite popolari o democratico cristiane perché intendevano marcare una specificità dei loro valori di riferimento.
Solidarietà e sussidiarietà sappiamo bene costituire i due principali fondamenti della Dottrina sociale e la fonte ispiratrice dei movimenti democratici in cui si organizzavano i cristiani.
Sturzo era cosciente che la sua proposta contrastava con quella dei cattolici conservatori, così come lo fu successivamente per la Dc degasperiana. Al tempo stesso, non sono mai mancate le pulsioni verso la sinistra; richiamo per alcuni, nonostante le carenze derivanti da una risposta parziale ai problemi della gente di cui si individuano solo i problemi più immediatamente economici.
Parlare di una ripresa d’iniziativa politica e di presenza dei cattolici in politica non ha storicamente e culturalmente alcun senso se non si aggiunge, così, la sostanza di una dimensione popolare, quella sturziana, o democratico cristiana.
Queste denominazioni indicano e precisano in modo chiaro il percorso e la presenza attraverso cui dei cattolici, non tutti i cattolici, richiamano verso una particolare prospettiva di partecipazione politica ed istituzionale.
I cristiani che votano Lega, restano cristiani, ma non sono democratico cristiani e non sono popolari. Lo stesso vale per quelli che partecipano al Movimento 5 Stelle e il ragionamento riguarda, persino, a mio sommesso avviso, pure quelli che guardano al Pd.
Anche questi ultimi, che pensano di esserlo, in realtà perdono di vista la necessità di muoversi lungo la completezza di un riferimento che non può restare solamente riferirsi ai principi etici o, al contrario, esclusivamente lungo il versante dell’impegno sociale.
Sarò certamente corretto da qualcuno, da destra e da sinistra, ma a queste conclusioni mi ha portato l’esame degli ultimi 25 anni.
E’ necessario fare questa chiarezza e spiegarlo bene anche ad eminenti uomini della Chiesa che continuano a parlare di una presenza genericamente vista come “ lievito”.
Una tale prospettiva si è appena dimostrata capace di portare solamente all’ininfluenza ed all’afonia per ciò che riguarda l’impegno pubblico dei cattolici. Il paradosso è che, così, neppure si ottempera a quel messaggio evangelico cui ci si riferisce perché nessuna delle componenti della diaspora è riuscita far “ lievitare” molto.
Il cardinale Gualtiero Bassetti,invece, a mio avviso ha indicato una possibilità di altro spessore.
Il suo invito a stare Insieme deve essere letto in connessione a quello di affrontare le questioni concrete del Paese in riferimento all’esperienza di Sturzo, proprio alla vigilia del centesimo anniversario dell’Appello ai Liberi e Forti.
Un messaggio chiaro per chi vuole capirlo: non si tratta di una generica sollecitazione ai cattolici a mettersi tutti assieme solamente sulla base di un comune credo religioso.
Dalla Dottrina sociale della Chiesa riceviamo delle sollecitazioni che riguardano la Persona nella sua organicità e completezza. Ciò proietta oltre i soli aspetti sociali ed economici, o che comunque questi collega e connette a più ampi ambiti di natura esistenziale ed etica cui dei cristiani non possono certamente restare indifferenti ed ininfluenti.
Così ha ragione il professor Becchetti: è importante mettere i cattolici “ in squadra”. Facendolo, come egli indica, recuperando tutto il pensiero innovativo portato da economisti, sociologi e politici espressione del nostro mondo, recuperando il lavoro legato all’Agenda 2030, riscoprendo il gusto della comunicazione che significa precisare concretamente una presenza costruttiva e metterla a disposizione di un intero Paese: essere presenti, insomma, con una voce nuova, con accenti e stili originali nel dibattito politico quotidiano.