Per essere buoni politici bisogna essere innanzi tutto buoni cristiani? L’interrogativo non è affatto peregrino, soprattutto in un tempo come il nostro, in cui la politica sembra aver perso consistenza di fronte al predominio del potere economico e alla conseguente forza di sopraffazione esercitata dai più forti sui più deboli.
Ce ne accorgiamo ogni giorno di più, anche in questi primi giorni segnati da un senso di “orfananza” spirituale, dopo la scomparsa di Papa Francesco.
Certo, la politica non è — e non può essere — una diretta espressione della religione. Ma chi crede, chi sceglie di impegnarsi nelle cose temporali con serietà, dovrebbe poter attingere ai principi più profondi della fede: il bene comune, la giustizia sociale, il riscatto degli ultimi. Sono questi, forse, i motivi più alti per cui un cristiano può e deve fare politica.
Una crisi di partecipazione e di senso
Ma questi paradigmi sono ancora validi nella realtà politica di oggi?
La sensazione — e forse qualcosa di più di una semplice sensazione — è che tanto la classe politica quanto i cittadini si siano assuefatti a due pericolose “droghe” sociali. Da un lato, chi governa sembra voler restare al potere solo per conservarlo, trascurando la voce e le esigenze di un popolo che, sempre più numeroso, sceglie l’astensione: oltre il 50% diserta ormai le urne. Dall’altro, i cittadini, disillusi da una politica che ha reso destra e sinistra intercambiabili, vivono il voto come un diritto svuotato, incapace di generare reale cambiamento. La politica, ai loro occhi, è diventata una rendita per pochi: un’oligarchia.
Oltre la democrazia: il vuoto delle leadership
Questa fotografia — che riguarda l’Italia, ma non solo — ci aiuta a inquadrare i problemi strutturali che attraversano oggi i sistemi democratici. Problemi che ci spingono a parlare non solo di una democrazia “post”, ma di una democrazia iperpopulista, fragile e continuamente esposta alla pressione degli interessi economici dominanti.
Non servono nomi né esempi dettagliati per descrivere questa condizione. È sufficiente osservare l’attuale governo di destra, con ministri e sottosegretari più attenti alla propaganda che al governo del Paese secondo criteri di equità e responsabilità morale. Ma non va meglio sull’altra sponda. Dall’improvvisazione culturale di certi laboratori politici, alla confusione tra diritti civili e sociali, fino alla cronica assenza di un progetto alternativo di governo: tutto ciò racconta il fallimento, se non addirittura l’evanescenza, di una classe dirigente d’opposizione che vive alla giornata, aggrappata a un residuo di potere in vista della prossima tornata elettorale.
Il coraggio di essere diversi
Nel frattempo, il dibattito — ciclico e mai risolto — sulla necessità di una forza politica di centro ispirata cristianamente è diventato una chimera. Il panorama politico appare sempre più povero di valori, di riferimenti, di ideali capaci di tradursi in azione concreta. Ma ciò che manca, soprattutto, è il coraggio di essere diversi: diversi in senso etico, in un tempo in cui la morale è ormai considerata un optional.