C’è spazio oggi in Italia per un nuovo partito che rappresenti noi Popolari?
Dobbiamo rispondere a questa domanda se pensiamo di avviare una nuova stagione politica dei “liberi e forti”. Le analisi, utili e necessarie, si sono sprecate. Ma il percorso per passare dalle parole ai fatti è stato molto lento. Se la determinazione di alcuni fosse stata generalmente condivisa, avremmo già un nome e un simbolo, un manifesto ideale e un programma su cui richiedere adesioni in giro per l’Italia. Purtroppo, prudenze e dubbi hanno sinora prevalso. Che provengano da interrogativi sulle convenienze personali o dal timore di fare un buco nell’acqua dello zero virgola, non cambia di molto il risultato.
Comunque, pian pianino, i diversi posizionamenti personali sono destinati a chiarirsi. Chi si è conquistato un ruolo nel PD o nei suoi paraggi fa bene a mantenere le posizioni. Chi crede necessario un contenitore dei “moderati”, e intende lì ritagliarsi uno spazio, può trovare nel duo Cesa-Rotondi (o forse in Toti) il suo punto di riferimento. Chi pensa a un contenitore centrista concorrenziale con la sinistra (PD e satelliti), sul modello della fu Margherita, ora ha solo l’imbarazzo della scelta tra Calenda, almeno coerente nel NO ai Cinquestelle, e Matteo Renzi, tornato prepotentemente alla ribalta con il doppio salto mortale carpiato e avvitato dell’apertura al M5S e della successiva fuoriuscita dal PD.
Ma allora, con queste novità, non si sono ristretti gli spazi per una presenza dei democratici popolari di ispirazione cristiana? Non bastano a rappresentare quest’area culturale il Partito Democratico con Franceschini e Fioroni, e Italia Viva dell’ex boy scout Renzi, e Siamo Europei del duo Calenda-Richetti, altro cattolico?
Senza entrare in considerazioni sul PD – trasformatosi da “partito plurale” in un “partito radicale di massa” –, o sul fenomeno Renzi – bocciato sia per le politiche attuate sia per gli atteggiamenti – o sulle incognite di altri gruppi fondati su individualità, rispondo senza esitazioni: esiste uno spazio di consenso nel Paese per una forza politica nuova.
Il perché è presto spiegato. Alle ultime elezioni europee – che sono squisitamente politiche – il 47% degli aventi diritto non è andato a votare. Nel recente passato abbiamo avuto un astensionismo ancora maggiore in alcune elezioni amministrative, con il clamoroso picco del 62.3% alle ultime regionali emiliane, quelle del 2014. Anche considerando più realisticamente il corpo elettorale vicino al 90% degli aventi diritto, si può constatare che oggi quasi una metà degli italiani non va a votare. E una fetta consistente di coloro che scelgono un partito lo fanno – montanellianamente – turandosi il naso.
È di tutta evidenza che l’offerta politica della declinante Seconda Repubblica intercetta a malapena metà elettorato. Di delusione in delusione, di scandalo in scandalo, di fanfaronata in fanfaronata, di ignavia in ignavia, una intera classe politica – dall’ottantenne Berlusconi al quarantenne Renzi, dall’eterno Casini all’homo novus Di Maio – ha perso credibilità e ha fatto precipitare il Paese nel vortice della sfiducia.
Una classe politica che, complici sistemi elettorali fatti per consegnare il potere nelle mani dei segretari di partito, si è perpetuata in una compagnia di giro. Ricordate la commedia dell’arte? Una serie di personaggi grotteschi e divertenti – Arlecchino, Brighella, Pantalone, Colombina, Pulcinella ecc. – ma alla fine ripetitivi: possono anche recitare su un canovaccio diverso ogni sera, ma finiscono per stufare. E gli spettatori (gli elettori) diminuiscono. Non a caso la moderna messa in scena della politica caricaturale, quella del Bagaglino, ha già chiuso i battenti da anni, sorpassata dal cabaret quotidiano della realtà politicante.
Insomma, se pensassimo solo di aggiungere una maschera alla compagnia o di mettere in scena una variante dello stesso spettacolo, dovremmo lasciar perdere prima di cominciare.
La riuscita di un nuovo partito non può certo passare per facce, ricette e parole d’ordine già viste e sentite, presenti e logore in questo desolante panorama politico. La sfida sta tutta nel riuscire a farsi ascoltare da quella metà di elettorato (e oltre la metà tra i cattolici) che non ci crede più, e motivarla al voto.
Non si tratta quindi di strappare consensi ai vari Franceschini, Renzi, Cesa o Casini, perché sarebbe un obiettivo misero e perdente in partenza. Solo se riteniamo di poter dire parole nuove, di avere comportamenti seri e controcorrente, potremo rappresentare una novità nel mondo della politica spettacolo, della gara a chi la spara più grossa, delle corti di lacché nominati dal capo, delle giravolte che fanno clamore e attirano gli applausi scontati delle claques, ma rendono ancor più diffidenti i cittadini.
Oggi, per essere non solo nuovi ma “rivoluzionari”, basterebbe applicare il consiglio evangelico del parlare con il “sì, sì, no, no”, riabituando le persone ad ascoltare parole di verità. E aggiungiamoci coerenza, onestà, ricerca del bene comune, sobrietà, responsabilità, competenza, ascolto, rispetto, dialogo, condivisione, solidarietà, uguaglianza: quanto c’è di questi valori nella politica svilita di oggi? Quanto sarebbe necessario rilanciarli? E, tra i molti temi a noi cari, proviamo a parlare di quelli che non si ascoltano nei talk-show: di famiglia e di come favorire concretamente chi decide di far nascere e crescere dei figli, di giovani a cui una generazione privilegiata ha negato il futuro, di rappresentanza dei territori contro la demagogia dei tagli ai parlamentari, di autonomie locali fondate sui municipi contro il falso mito delle metropoli, di doveri che danno senso ai diritti, dell’importanza del merito perché la scuola rimanga l’ascensore sociale dei poveri, del lavoro che dà dignità e non può essere tassato più delle rendite, del creato e della pace da difendere ogni giorno.
Non sappiamo quanta capacità e forza avremo per farci ascoltare e conquistare l’attenzione delle persone. Ma certamente per “i liberi e forti” è l’ora di rimboccarsi le maniche e avviare una nuova stagione politica. Con generosità e un po’ di coraggio.
Non è detto che per avere nuovamente successo si debbano aspettare le macerie di una terza guerra mondiale.