Piccoli e grandi gesti per superare la “cultura dello scarto”.

 

Prosegue il dibattito sulla pagine del sito web dell’Azione cattolica in vista della 49° Settimana Sociale dei cattolici. Di seguito l’intervento dell’Assistente ecclesiastico centrale dell’Ac per il Settore Giovani.

 

Gianluca Zurra

 

L’espressione “cultura dello scarto” ritorna spesso nell’attuale magistero pontificio, per indicare l’inevitabile risvolto negativo a cui porta uno stile di vita consumistico. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium si legge, al numero 53, uno dei passaggi più coraggiosi su questo tema: «Abbiamo dato inizio alla cultura dello scarto che, addirittura, viene promossa.

 

Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono sfruttati, ma rifiuti, avanzi». La forza simbolica dell’intervento sta esattamente nel richiamo ai “rifiuti”, con una chiara provocazione ecologica: le montagne di immondizie non nascono come funghi, in modo casuale, ma diventano l’emblema di un problema antropologico più profondo, vale a dire un modo discutibile di vivere la socialità tra gli umani. Non solo, ma udendo la parola “scarto” chiunque è portato a scandalizzarsi di fronte alla trasformazione delle persone in oggetti da buttare e delle relazioni in legami puramente commerciali.

 

Eppure, fino a quando non subentra il coraggio di un cambiamento radicale nel modo di muoversi, di pensare, di decidere, lo sdegno non è sufficiente. Anzi, a lungo andare rischia di diventare retorico, non più credibile. É dunque urgente passare da una “cultura dello scarto” ad una “cultura inclusiva e generativa”, tramite una diversa postura quotidiana dello stare insieme.

 

Se “prendo, consumo, butto” è l’imperativo consumistico, il cui risultato non può che essere l’accumulo di rifiuti e la mortificazione degli affetti, “accolgo, condivido, riciclo” può diventare la prospettiva esistenziale per una cultura inclusiva. Soffermiamoci su questi verbi, da cui si può provare a ripartire, iniziando da piccole attenzioni e gesti concreti.

 

Accogliere è il contrario di prendere per sé: l’altro, le cose, la realtà nel suo insieme, non sono mai riducibili ad un possesso egoistico, ma da riconoscere nel loro essere doni che ci precedono, irriducibili al puro soddisfacimento di bisogni immediati. Condividere è il contrario di consumare: gli affetti veri si nutrono di promesse, di durata, di un confronto che non è omologazione, ma rispetto e riconoscimento delle diversità, promozione e accompagnamento dei talenti di ciascuno. Riciclare è il contrario di buttare: non significa accumulare cose vecchie, ma trasformare in modo creativo e sostenibile ciò che ci è stato consegnato da chi è venuto prima di noi, perché la vita continui anche dopo di noi. A differenza dei verbi consumistici, che comprimono la vita nella fretta e nell’ansia, i verbi inclusivi dilatano il tempo, chiedono visioni lunghe, di ampio respiro.

 

Continua a leggere

Piccoli e grandi gesti per superare la “cultura dello scarto”