Piersanti Mattarella nacque a Castellammare del Golfo il 24 maggio 1935. Secondogenito di Bernardo Mattarella, uomo politico della Democrazia Cristiana e fratello di Sergio, 12° Presidente della Repubblica Italiana. Si trasferì a Roma con la famiglia nel 1948. Studiò al San Leone Magno, retto dai Fratelli maristi, e militò nell’Azione cattolica mostrandosi attento conoscitore della dottrina sociale della Chiesa. Si laureò a pieni voti in Giurisprudenza alla Sapienza con una tesi sui problemi dell’integrazione economica europea. Tornò in Sicilia nel 1958 per sposarsi. Divenne assistente ordinario di diritto privato all’Università di Palermo. Ebbe due figli: Bernardo e Maria.
Entrò nella Dc nel 1963 e nel novembre del 1964 si candidò alle elezioni comunali di Palermo per lo scudo crociato, ottenendo un grande successo personale. La sua consiliatura coincise con l’apogeo del “Sacco di Palermo”. Furono anni di grande tormento e crisi per Dc in Sicilia, con durissime spaccature correntizie e la presenza a dir poco ingombrante di figure come Lima e Cianacimino.
Nel 1967 Piersanti entrò nell’Assemblea Regionale e fu rieletto parlamentare regionale per altre due legislature. Fu anche assessore regionale alla Presidenza con delega al Bilancio nelle diverse giunte ( 1971- 76 ). Il 9 febbraio 1978 fu eletto dall’Assemblea presidente della Regione Siciliana, alla guida di una coalizione di centro-sinistra con l’appoggio esterno del Partito Comunista Italiano.
Era il giorno dell’Epifania del 1980 quando, in via della Libertà a Palermo, una grandine di pallottole lo sorprese, mentre si stava recando a messa con moglie e figli. Di quel giorno, quando un killer si è avvicinato all’automobile su cui c’era Piersanti con la moglie e con la figlia, rimane la fotografia di Sergio che estrae dall’auto il corpo del fratello, in un abbraccioche è passato alla storia.
Nella sentenza della Corte di Assise del 12 aprile 1995 n. 9/95, che ha giudicato gli imputati per il suo assassinio, si legge che «l’istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l’azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi» e si aggiunge che da anni aveva «caratterizzato in modo non equivoco la sua azione per una Sicilia con le carte in regola».
Nel 1995, vennero condannati all’ergastolo quali mandanti dell’omicidio Mattarella i boss della “cupola” mafiosa. Le condanne vennero confermate in Cassazione. Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati con certezza.
Profondo rinnovamento, non superamento della DC
La passione politica di Piersanti Mattarella non nasce dunque da una conversione fulminea, ma è il frutto di una lunga gestazione tra più componenti, che si distendono nel tempo: l’esempio paterno, gli ideali di rinnovamento respirati negli ambienti cattolici, la frequentazione di grandi uomini politici e – non ultimo – la rivolta morale contro la condizione della politica siciliana, contrassegnata da pratiche arcaiche, lotte di potere e interessi poco trasparenti…
Il Card. Pappalardo, nel corso dell’omelia funebre, così descrisse in modo mirabilmente riassuntivo l’azione politica di Piersanti: “Egli poteva ben attribuirsi, senza dover arrossire, la duplice qualifica di democratico, nel senso vero ed ampio della parola, e di cristiano”.
Questa ispirazione viene da lontano, tanto che in appunti personali giovanili conservati dal figlio, Piersanti parlava di un’azione politica e di governo “troppo lunga e impacciata nell’elaborazione di riforme sociali” . Già un appello non per la distruzione o il superamento della Dc, ma per il suo rinnovamento. Il partito d’ispirazione cattolica doveva ripartire dal recupero delle radici religiose e morali e spingersi sul terreno di più decise riforme sociali.
Responsabilità, trasparenza e concretezza
Ma la sua ispirazione si incarna in precisi e inequivocabili gesti di concretezza politica, soprattutto quando eserciterà ruoli fondamentali e delicati nell’ ARS. Come assessore al bilancio, per esempio, ha finalmente l’occasione per sperimentare programmazione e lo sviluppo. Le sue parole d’ordine, di fatto sconosciute prima nel parlamento regionale, diventano: coordinamento, collegialità, responsabilità e trasparenza.
I risultati sono sorprendenti. Negli anni successivi, infatti, presenta e fa votare entro i termini di legge i bilanci di previsione, evitando l’annoso e umiliante ricorso all’esercizio provvisorio.
Nel Novembre 1975, poi, la novità assoluta del patto programmatico di fine legislatura regionale, con l’inedita sponda anche del PCI. E non può sfuggire il fatto di come la Sicilia si candidi ad essere il laboratorio della politica italiana. Sono gli anni, infatti, in cui si discute della questione comunista, dopo la strategia del compromesso storico, lanciata da Enrico Berlinguer nel 1973. E tutto questo mentre Aldo Moro sta portando a compimento la sua riflessione sulla terza fase. Non a caso alcuni giornalistici lo definiscono “il Moro siciliano”.
E tutto questo percorso di novità non può in nessun caso prescindere da una radicale rigenerazione della vita del partito, cominciando a ristabilire la legalità del tesseramento.
Aldo Moro, amico e maestro, diventa in questi anni per Piersanti Mattarella qualcosa di più di un riferimento politico nazionale. È l’erede e il continuatore della linea storica e politica del cattolicesimo democratico che passa per Sturzo e per De Gasperi.
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