Una folla baciata dal sole, sconfinata, piena di entusiasmo. Pontida non ha tradito le attese e ha sciorinato uno spettacolo da metà settembre festoso. Sembrava di assistere, per quel po’ che ho visto nei telegiornali, ad un raduno che anticipasse un evento di portata strabiliante. A guardarlo, decontestualizzato dal tempo politico che stiamo vivendo, faceva persino impressione.
Seconda lettura; calandolo nel momento attuale, assume però un profilo completamente diverso. Ci sono oceaniche folle che osannano le aurore, ma anche, se non più estese presenze, che testimoniano i crepuscoli. Ad esser cattivi, quella folla festante, poteva essere anche interpretata come un grande rimprovero rivolto al suo capo. Un rimprovero che, inconsciamente, suona nel seguente modo: “ma come hai fatto a gettare alle ortiche quel ben di Dio che avevi tra le mani?”.
Infatti, non si può disgiungere una lettura dall’altra. È questo che vi propongo. Vedere il lato brillante, ma non scordarsi l’ombrosità dello stesso. Ieri, a Pontida, paradossalmente, si sono incrociate queste due parti e la folla le ha rappresentate entrambe, la prima osannando, la seconda tenendosi in seno la sofferenza del dietrofront consumato in modo del tutto ingiustificato l’8 di agosto.
Matteo Salvini, proprio nel suo breve intervento – ha parlato meno di quanto ci si attendesse – ha preso su di sé, come un simbolo sacrificale, entrambe le dimensioni che salivano dalla sterminata piazza che gli riempiva lo sguardo.
Non è stato un incontro da sottovalutare, la lettura che vi propongo, per quanto sia arbitraria e sicuramente limitata e contenuta, può esser presa come uno spunto di riflessione per chi intendesse immaginare che destino serpeggi dentro il popolo leghista.
Questa breve nota ci permetterà, cosa che mi propongo di svolgere domani o dopo domani, di visitare anche quel magma in ebollizione che caratterizza uno dei partiti di governo.