L’articolo, ricco di contenuti e di umanità, dell’amico Ettore Bonalberti su queste colonne, merita di essere ripreso ed approfondito. Da molti anni conosciamo la passionalità, il disinteresse e l’intelligenza di Ettore quando affronta il tema – peraltro decisivo ed importante – della potenziale ricomposizione ed unità dell’area popolare ed ex democratico Cristiana nel nostro paese. Un tema che da circa 25 anni, cioè dalla fine della Dc, anima e attraversa orizzontalmente il dibattito e il confronto tra tutti coloro che lamentano una inspiegabile assenza ed irrilevanza dei cattolici democratici e popolari nella cittadella politica italiana.
Ora, per essere onesti con noi stessi, non possiamo dimenticare che dal 2001 in poi – cioè dopo l’esperienza di Democrazia Europa di Sergio D’Antoni e Giulio Andreotti – si sono susseguiti circa 60 tentativi per rilanciare una minima presenza politica ed organizzativa, autonoma, degli ex democristiani. Tutte iniziative lodevoli e da non disprezzare ma accomunate da un filo rosso: sono tutte miseramente fallite sotto il profilo politico e, soprattutto, elettorale. Nelle ultime settimane, per fermarsi ad oggi, ne sono nate altre due. La “Federazione di centro” richiamata dall’amico Ettore e l’iniziativa, a tutt’oggi un po’ nebulosa, di coloro che si richiamano al cosiddetto “manifesto Zamagni”. Due nuovi partiti, due nuovi potenziali soggetti politici – almeno questo, mi pare di capire, e’ l’obiettivo dei proponenti – che si propongono lo stesso obiettivo dei tentativi, seppur generosi, che ci sono stati, appunto, negli ultimi 25 anni.
Ecco perché, con spirito costruttivo e con la fraterna amicizia che mi lega ad Ettore, vorrei avanzare due sole considerazioni.
Innanzitutto dobbiamo far sì, almeno a mio parere, che i nuovi sforzi politici ed organizzativi non allunghino la lista dei fallimenti che hanno caratterizzato i precedenti tentativi. Perché il continuo ed insistente fallimento di tutte queste esperienze rischia di essere nefasto per lo stesso patrimonio politico, culturale, ideale, programmatico e forse anche etico del cattolicesimo politico e sociale che si vuole rappresentare ancora nel nostro paese. Ma soprattutto perché si crea una sorta di eterogenesi dei fini dove la sacrosanta difesa dei valori e della tradizione del cattolicesimo politico italiano si traduce, a volte, nella sua sconfessione con il fallimento continuo e reiterato dei vari tentativi che puntano a ricostruire una presenza autonoma e credibile dei cattolici democratici e popolari.
In secondo luogo la questione delle alleanze. Certo, ha ragione l’amico Ettore quando sostiene che in un sistema proporzionale ciò che conta è il peso politico ed elettorale del singolo partito. A prescindere dal capitolo delle alleanze e delle coalizioni. Ma, per fermarsi al magistero degasperianio, moroteo e sturziano, ieri come oggi, un “centro che guarda a sinistra” o che guarda a destra non è sinonimo dello stesso progetto politico. Perché un conto è, giustamente, riaffermare la propria identità e il proprio progetto. Altra cosa, com’è ovvio, e’ costruire anche una alleanza, un progetto o una coalizione di governo. Perché su questo versante non possiamo rifugiarci nel trasformismo o nell’attendismo. Due elementi che mal si conciliano con la nostra tradizione, soprattutto con quella che accomuna Ettore e il sottoscritto. Cioè la grande lezione e il prezioso e fecondo magistero politico ed ideale di Carlo Donat-Cattin e della sinistra sociale della Dc.
Comunque sia, la riflessione avviata da Ettore Bonalberti va ripresa ed approfondita. Abbiamo un ricco ed indimenticabile passato comune. Forse possiamo avere anche un futuro politico altrettanto comune.