Ieri su Repubblica Michele Ainis, parlando della prescrizione di Bonafede, censurava la politica che “battezza norme odiose, che poi difficilmente verranno mai applicate”.
Peccato che la redazione del quotidiano romano non ne abbia tenuto conto, vista la scelta di ‘sparare’ un commento a tutta pagina sulle dismissioni delle aziende partecipate dei Comuni.

Commento dedicata a un fallimento.
Dunque la legge Madia, pur animata da nobili intenzioni, si è rivelata odiosa.
Con il silenzio dell’ANCI, ridotta per altro da quelle norme odiose a ente pubblico, è spuntato dai cassetti della burocrazia ministeriale uno dei provvedimenti più ciecamente avversi alle autonomie locali.

Fin dall’inizio si sapeva che sarebbe rimasta lettera morta: la legge, contorta e confusa, era destinata a rimanere inapplicata.
L’articolo di Repubblica ha dunque il merito di mettere in risalto una verità che oggi si disvela, ma che già ieri, all’atto della formazione della legge, appariva senza alternative.

Invece di capire la logica perversa che ha portato – causa i decreti Bassanini- alla esplosione negli ultimi 25 anni del fenomeno di esternalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione, in primis di quella locale, si è agito sugli effetti ultimi in maniera astratta e superficiale.

Ci sono state distorsioni gravi e nulla – Madia o non Madia – è stato fatto per correggerle.
Così, volendo compiacere le banche desiderose di uscire dal poco redditizio servizio di riscossione dei tributi, si è consentita la creazione di aziende locali che vivono sugli incassi dei tributi, dovendo a rigor di logica, visto che sono società commerciali, ricavarne pure dei profitti.

Il paradosso è che queste aziende finora sono andate in attivo – da oggi in avanti il risultato è più incerto – e quindi non sono nel mirino delle ‘norme odiose’ paventate da Ainis.
In altri casi, laddove si è distesa l’ombra della politica neo-clientelare della seconda Repubblica, si è immaginato di procedere alla eliminazione degli sprechi senza stabilire procedure cogenti per evitare il licenziamento dei lavoratori.

Adesso si grida allo scandalo, ma non si doveva fin da subito contestare la vacuità e dannosità della legge? Ora, se molti Comuni si rifugiano nella disapplicazione delle norme, si può anche deprecare la condotta, ma non si può mettere la testa sotto la sabbia cercando d’ignorare il perché si è giunti a tanto.