Putin disegna il futuro della Russia ignorando l’Europa

Nella sua mente la Federazione è spostata ad Est, oltre gli Urali e verso il Pacifico, in quel vasto mondo deserto, anche oltre la Siberia. In tale prospettiva l’Europa non c’è più.

Due ore e mezza di discorso ininterrotto e nemmeno la pausa per un bicchiere d’acqua, con la voce che si incrina solo negli ultimi cinque minuti: così si presenta Putin alla Duma. Per seguire il discorso in diretta non c’è che il web con il collegamento al live del canale ufficiale e il traduttore simultaneo sullo smartphone. Con difficoltà, ma si segue. Dritto al suo obiettivo e con in testa il voto presidenziale di marzo, il presidente parla ai deputati e alla nazione con voce ferma e con qualche concessione colloquiale, in partitcolare quando legge una decina di pagine, quasi senza pausa. 

La Federazione Russa che ha in mente è spostata ad Est, oltre gli Urali e verso il Pacifico. Infrastrutture stradali, ferroviarie ad alta velocità, potenziamento dei porti mercantili e militari, infrastrutture tecnologiche di nuova generazione, accompagnano questo progetto di sviluppo territoriale che interessa un’area vasta come mezza Europa, con un ordine temporale: entro il 2050. La Russia ha necessità di essere presente in quel vasto mondo deserto, anche oltre la Siberia, contando sul fatto che il cambiamento climatico in atto rende il clima meno ostile e l’accesso alle risorse più facile (prima di tutto il gas e poi i minerali rari). 

Tutto il Paese è chiamato a condividere questo obiettivo, portando con sé la cultura russa e il recupero del patrimonio culturale locale. Anche se non lo si dice apertamente, questo progetto fa di Putin il novello zar Ivan il Grande che portò la sua Russia europea verso i territori al di là degli Urali, a contatto con le popolazioni nomade dei mongoli e con i cinesi. 

L’Europa in questa prospettiva non c’è più, poco e nulla valgono le sanzioni imposte. I miliardi di rubli evocati con puntigliosa precisione danno la misura della grandezza dell’intervento statale centrale e, più in generale, della autonomia finanziaria di un Paese che decide di investire i proventi derivanti dalle risorse naturali anzitutto per il mercato interno, e in modo chiuso, non aperto alle altre economie. 

Putin disegna una Russia per i russi e fatta dai russi, prendendo ad ogni passaggio applausi a scena aperta. Ha anche un orizzonte più breve, tutto elettorale, i sei anni da qui al 2030. I problemi più impellenti sono la povertà della popolazione, in gran parte urbanizzata, quindi con salari bassi; le famiglie numerose a cui dedica un programma speciale di sovvenzione statale; il recupero e il rilancio del patrimonio culturale locale, specie siberiano, che vuol dire miliardi di rubli in arrivo per gli insediamenti lungo i confini con la Mongolia e la Cina; il turismo interno (“Russi, visitate la Russia” è lo slogan) e il reinserimento nel tessuto produttivo dei giovani militari che hanno combattuto “l’operazione speciale”. 

La guerra in Ucraina non si chiama guerra, ma operazione speciale, e i suoi reduci sono eroi. A questi eroi è offerto lavoro e studi universitari, segno che la truppa era composta da giovanissimi arruolatisi con l’obiettivo di inviare denaro alle famiglie a casa e che ora – spiantati erano e spiantati sono tornati – debbono essere integrati in un programma pubblico, per non costituire un problema sociale. 

Applausi a scena aperta, anche in questo caso, ma Putin glissa sulla durata dell’operazione speciale e su tutta la politica estera, dunque sul ruolo che la Russia vuole giocare nello scacchiere mondiale. La Tv di Stato riprende i volti dei parlamentari e degli ospiti, sono in buona parte russi della parte europea; invece, i destinatari del programma 2050 dell’era Putin, sono pochi e vengono inquadrati raramente, segno che saranno i russi europei a fare gli affari nella vasta Siberia. Ed è ciò che la Duma vuole sentire, perché ciò vuol dire spazio per il rinnovo delle cariche e per un seggio sicuro. 

Noi europei in questo breve programma 2030 non ci siamo, quasi che la Russia avesse il capo rivoltato ad Est come un Giano bifronte a cui però hanno tolto uno dei volti. Nemmeno nel potenziamento del turismo siamo indicati, benché sia una leva per attrarre valuta estera con cui fare politiche nazionali. E un po’ ce ne dovremmo dispiacere perché il Paese indubbiamente ha bellezze naturali incontaminate e un ricchissimo patrimonio culturale locale. Soprattutto ce ne dovremmo dispiacere noi italiani, per istintiva vicinanza e razionale distacco, dal momento che non siamo secondi a nessuno quanto a patrimonio culturale. Ed invece i media europei saranno tutti concentrati giustamente su quanto Putin ha detto sull’Ucraina – sui diritti civili e le libertà nemmeno una parola, che sia una -, probabilmente inaspriremo le sanzioni commerciali e finanziarie, ma dal punto di vista di Putin noi costituiremo a breve, se non lo siamo già, il fronte occidentale su cui impegnarsi sempre meno. Putin l’astuto ci lascerà con il cerino in mano della ricostruzione dell’Ucraina.