Dal punto di vista della strategia politica le elezioni sarde hanno ribadito un dato già ampiamente noto, almeno sin dall’inizio della segreteria Schlein nel PD. Ovvero la prospettiva di un’alleanza tra PD e M5S per una coalizione di centrosinistra costruita con l’apporto determinante dei populisti grillini.
Ora, di fronte a questo dato, destinato a consolidarsi almeno fin quando il partito di Grillo e di Conte manterrà l’attuale percentuale di consenso, ci sono solo due risposte possibili. Quella dettata dalle geometrie politiche che consente o di fare spettacolari inversioni ad U, come quella fatta dopo il voto sardo da Calenda, oppure di rivendicare l’imperturbabilità di uno spazio politico di centro, che potrebbe trarre addirittura giovamento dallo spostamento a sinistra della coalizione riformatrice.
In entrambi i casi si tratta, a mio avviso, di una reazione a un processo in corso che non allarga nei fatti l’offerta politica ma punta, a somiglianza dei sostenitori del bipolarismo, a una sorta di eterno ritorno fra schieramenti a prescindere da una prospettiva di programma e di progetto. Confidando magari sul fatto, come è successo in Sardegna, che alla fine sarà il populismo grillino ad assumere la guida della coalizione e presupponendo che l’attuale segretaria del PD sia subalterna a questa deriva. Invece, così non è, almeno perché Elly Schlein non è assimilabile al populismo, essendo per estrazione sociale un’eminente espressione dell’establishment internazionale che governa l’Occidente e avendo, tra le altre, questa dimensione territoriale emiliana che la colloca nella scuola politica di Andreatta e di Prodi.
Piuttosto, dunque, che scommettere su una incerta deriva massimalista della sinistra, della quale peraltro non mancano i segnali, mi pare invece che possa esistere un altro tipo di risposta da parte dell’area di centro di fronte all’orientamento che pare inarrestabile, a costruire il campo largo della sinistra. Serve una risposta capace di innescare una sfida virtuosa sul piano programmatico attorno alle questioni chiave della nostra epoca. In assenza della quale la critica al campo largo rischia di divenire solo un modo attraverso cui si cerca di nascondere la debolezza del centro sul piano della proposta politica.
Si tratta di un obiettivo non facile anche alla luce di come ora è rappresentato il centro, prevalentemente da due partiti personali, composti a loro volta di individualità senza una adeguata comunanza di sensibilità sulle principali questioni. Basti pensare ai temi istituzionali dove è nettissima la diversità di opinioni al centro, al ruolo dei corpi intermedi e delle autonomie locali, alle politiche sociali ed economiche. Se poi nel centro attuale si volesse includere anche i radicali di Più Europa, non ci sarebbe più limite all’eterogeneità.
Eppure, un’iniziativa programmatica adeguata ai tempi credo dovrebbe costituire la prima e maggiore preoccupazione per tutti coloro che in una fantastica varietà delle forme organizzative, che va oltre ogni immaginazione, si richiamano al Popolarismo. Tenendo ben presente che nel centro che c’è, i Popolari, nelle loro varie declinazioni, si collocano nel retrobottega, nel back office, del Centro in quanto non risultano ancora visibili alla massa dell’elettorato.
Solo sulla base di una significativa elaborazione progettuale e di una iniziativa politica condotta sulle priorità del nostro tempo si potrà ambire a rendere il centro un interlocutore significativo ancorché scomodo per i poli opposti di destra e di sinistra. E in particolare contrastare con precise ragioni nel merito l’avventurosa alleanza tra PD e Movimento Cinque Stelle, rilanciata dalle regionali sarde. Il futuro, il complicato futuro che attende l’Europa sarà di chi lo interpreta, cercando di gestirlo anziché lasciarsi trascinare verso sviluppi considerati da troppi ormai inevitabili.