Quando Bodrato interloquiva con Ceccanti e Tonini sul futuro del centro-sinistra…

Nel 2006 si poté leggere su “Europa” questo notevole scambio di opinioni che conserva un evidente valore anche per l’oggi, illuminando questioni cruciali a riguardo dei rapporti tra le diverse anime del riformismo.

 

Intervento

di Guido Bodrato

 

Nell’articolo che Europa ha pubblicato il 13 settembre, Stefano Ceccanti riprende le riflessioni che Giorgio Tonini ha usato per replicare a Pier Luigi Castagnetti, al fine di giustificare l’approdo del partito democratico (ed in particolar modo dei cattolici democratici) al partito del socialismo europeo.

Dirò subito che non ho obiezioni all’invito a non trasformare in una «guerra di trincea» il dialogo sul rapporto tra spiritualità, etica e politica; e non contesto l’affermazione che si possa «stare da cristiani nella maggior parte dei partiti socialisti europei».

Questo è l’argomento che Ceccanti sviluppa soprattutto con riferimento al socialismo francese e spagnolo, ed a questa riflessione (che per molti aspetti condivido) desidero fare riferimento, considerandola intrecciata all’altra «sul ruolo politico della religione », sul ruolo politico di un cristianesimo che in Italia nella fase risorgimentale ed unitaria ha avuto a che fare sia con i socialisti come con i liberali, e poi con il bolscevismo e con il fascismo, ed infine con una sinistra dominata dal partito comunista, prima che le ideologie dovessero fare i conti con la secolarizzazione e con la dissoluzione dell’Unione sovietica.

È con riferimento al divenire della storia ed alle sue contraddizioni che si parla, quando si parla di popolarismo e di democrazia cristiana, di un partito «storicamente determinato» che ha dovuto confrontarsi con il clerico-moderatismo (e con il clerico-fascismo) prima che con la possibilità per i cristiani di aderire a partiti di destra o di sinistra, spesso in contrasto con le direttive della Chiesa (penso alla sinistra cristiana), qualche volta assecondandole. Cosa sia stata la Dc, in questo contesto storico, e perché si sia dissolta, è questione che sembra accantonata anche da autorevoli democristiani, soprattutto perché la semplice evocazione del fantasma democristiano (di una politica che oggi – non potendo caratterizzarsi come diga anticomunista – non può appellarsi alla maggioranza silenziosa) getta nel panico i sacerdoti del bipolarismo ma anche chi, tra i post-democristiani, interpreta la politica solo in funzione della conquista del potere.

Se di questo dovessimo discutere, potrei ricordare a Ceccanti che quando Donat Cattin si è incontrato a Roma con Peces-Barba, esponente del cattolicesimo socialista francese, la sinistra sociale della Dc stava dibattendo con Livio Labor sul progetto di una “nuova sinistra” che avrebbe

dovuto interpretare il movimento di contestazione giovanile ed operaia, che era in competizione con la Dc ma anche con il Pci. È noto come quel progetto, che coinvolgeva anche il socialista Lombardi, si sia concluso e come nel ’72 sia fallita la prova elettorale del Mpl, mentre il terrorismo cercava di conquistare la guida del “movimento” per dare una spallata al sistema capitalista ed al regime democristiano.

Non si tratta quindi di discutere solo di cultura politica, ma soprattutto di concrete scelte politiche. Delle scelte fatte possiamo pentirci (lo hanno fatto, con riferimento all’invasione sovietica dell’Ungheria del ’56, Napolitano e Ingrao), ma non possiamo censurare o manipolare la storia in funzione dell’immediato interesse politico, raccontando del socialismo solo ciò che può coniugarsi con il nuovo riformismo. Ora, se intendiamo occuparci della storia che abbiamo vissuto, è impossibile non riconoscere che la rinascita della democrazia europea, dopo la fine del nazifascismo, è stata caratterizzata in Europa soprattutto dalla presenza dei partiti democristiani, che si ispiravano al personalismo comunitario e che, forse anche per il fatto che i cattolici italiani erano stati ai margini della costruzione dello stato nazionale (fino al punto che una parte dei “democristiani” che poi confluiranno nel partito popolare di Sturzo, partecipa alla guerra del ‘15/18 nella convinzione che si tratta dell’ultima occasione «per riconciliarsi con il Risorgimento»), erano più aperti dei liberali e dei socialisti al progetto del federalismo europeo.

Mentre in Italia dopo la liberazione il compromesso costituzionale ha solide radici nel pensiero e nell’azione della Dc, nei paesi della Comunità europea saranno i democristiani a costruire il welfare, spesso (in Italia come in Francia) contro una sinistra (comunista) che rifiutava un riformismo che rappresentava la subalternità della classe operaia al capitalismo. In realtà cosa abbia significato a metà ‘900 il riferimento alla “democrazia cristiana” lo ha testimoniato Strafford Cripps, autorevole esponente del partito laburista e uomo di governo del “dopo Churcill”, che nel ’44 ha dato alle stampe un libro che propone di discutere dei problemi della democrazia, della sua crisi etica e del suo futuro, e conclude questa analisi affermando che «siamo tutti interessati all’attività che dovrà essere svolta dalle Chiese in genere, nel guidare il nostro paese e il mondo lungo la strada del progresso cristiano», e dedicando i capitoli conclusivi alle scelte necessarie per camminare «verso una democrazia cristiana».

C’è dunque una radice cristiana nel laburismo, che tuttavia se è coerentemente sviluppata porta oltre il socialismo.

Pochi anni dopo sarà Emmanuel Mounier, che non è mai stato democristiano ed è considerato affine alla famiglia socialista, ad introdurre un libro sul personalismo annotando che nella Francia di quel tempo i partiti democristiani (che pure temeva non sapessero resistere alle

pressioni clericali) «se non ci fossero stati avremmo dovuto inventarli » poiché hanno saputo dare una speranza ad un popolo dominato dalla paura. Per la prima volta si è parlato di “terza via” (oltre il capitalismo ed oltre il collettivismo marxista) con riferimento ai partiti democristiani ed al loro keynesismo.

All’inizio anche Jacques Delors era un democristiano, cioè era un militante della corrente di sinistra del Mrp, del partito di centro che si dissolverà quando De Gaulle conquista Parigi per evitare che la città sia conquistata dalla destra estrema che non vuole abbandonare l’Algeria…Ma quando una parte dei socialisti penserà di candidare Delors alla presidenza della Repubblica, in alternativa a Jospin, il più autorevole quotidiano francese, il conservatore Le Figarò, contrasterà questa possibilità con un titolo ironico: «Delors, un mendesist demochretien», per ricordare che questo straordinario europeista era stato, con Mendes France, contrario al regime gollista. Ed il partito socialista liquiderà la candidatura del democristiano Delors alla presidenza dell’Eliseo.

Il fatto che anche i partiti democristiani siano “storicamente determinati” (e condizionati dai mutamenti della storia) riguarda anche gli altri partiti. Lo ha scritto molto bene Massimo Salvatori su Repubblica a proposito del socialismo, dei massimalisti e dei riformisti. E questo fatto spiega perché, se è possibile ragionare con i “se”, in Gran Bretagna voterei per i laburisti, mentre il libertario Rutelli (così lo ha definito Sciarelli) voterebbe per i liberali, ed in Francia quando regnava De Gaulle, probabilmente avrei seguito Delors nel partito socialista, ma oggi voterei per i centristi di Bayrou.

E spiega soprattutto perché insisto su una questione che ancora non ha trovato una convincente risposta: perché il partito democratico è considerato il naturale approdo – alla fine della contrastata traversata del deserto – di una sinistra che si è piegata per quasi mezzo secolo alla politica sovietica, mentre questo approdo è considerato una svolta, se non una rottura con il passato, quando è riferito ai democristiani.

E perché c’è anche su Europa chi demonizza i democristiani “irriducibili” che la destra ed i clerico-moderati consideravano “i catto comunisti”, poiché aderivano alla “strategia dell’attenzione” di Moro, mentre alla festa dell’Unità il dibattito tra D’Alema e Fini è sembrata una contesa tra chi è più europeista e più atlantico, cioè “più democristiano”.

Dovrebbe essere chiaro perché io sollevo qualche interrogativo sul Pd e critico le tendenze che dominano un processo che dovrebbe concludersi con la ratifica di ciò che la nomenclatura vuole imporre per garantirsi il futuro: non sui temi “eticamente sensibili” (che appartengono alla coscienza di ogni uomo) ma su ciò che caratterizza una politica democratica (e laica), cioè sull’assetto istituzionale, sulla qualità della democrazia, sulla cultura politica cui si fa riferimento, che è anche memoria del passato e speranza di futuro.

 

 

Controreplica

di Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini

 

Carissimo direttore, Guido Bodrato ci ha chiamati in causa ieri in modo quasi sempre convincente. Segnaliamo però tre questioni.

La prima è la ricostruzione del ruolo di Delors. Nelle memorie di quest’ultimo si dimostra che fu egli stesso a rifiutare la candidatura presidenziale nel 1995 perché in grado di vincere, ma senza una coerente maggioranza parlamentare che per essere tale, a suo avviso, avrebbe dovuto comprendere socialisti e Udf. Delors ricorda peraltro che nel 1962 si schierò per il sì al referendum sull’elezione diretta del presidente, ritenendo ormai fallito il sistema precedente ed essendo quella l’unica alternativa possibile.

La seconda questione è legata all’analisi di Delors sulla maggioranza. Bodrato al primo turno del 2007 vorrebbe votare Bayrou, che non ha chances per il ballottaggio. Al secondo turno Bodrato ritiene auspicabile che si arrivi a un accordo con Ségolène Royal anziché con Sarkozy o a un non schieramento infecondo? Da questo punto di vista la provvisoria dislocazione europea diversa di Ds e Margherita potrebbe aiutare.

Terza questione: Bodrato ha tutte le ragioni per sostenere che il Pd non può essere visto come una conferma per i Ds e una svolta per la Margherita. Tuttavia, questo rischia di essere anche un effetto non voluto del dibattito falsato sulla

collocazione europea. Gli eletti del Pd alla fine siederanno in un gruppo che comprenderà una gran parte di eletti dell’odierno Pse. Ciò non accadrà perché alcuni si devono omologare ad altri che già ci sono, ma perché avremo costruito tutti insieme un partito comparabile a quelli nazionali che aderiscono al Pse per quantità e per pluralismo di ispirazioni.

Un partito che in Italia nessuno oggi possiede, indipendentemente dalle sue appartenenze europee odierne.

 

 

Le note qui riportate furono pubblicate sul quotidiano della Margherita – “Europa” – nelle edizioni del 15 e 16 settembre del 2006. Il titolo usato qui non è quello originale attribuito all’intervento di Guido Bodrato. Il giornale, infatti, sceglieva di titolare il pezzo così: “Il socialismo è morto? Risposta a Ceccanti. Ieri Delors, oggi Bayrou”.