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sabato, 13 Dicembre, 2025
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Quando il potere non è dominio. Benedetto XVI e la misura della politica

Sobrietà, giustizia e libertà: nelle parole di Papa Ratzinger una bussola esigente per l’impegno politico contemporaneo, oggi largamente disattesa da classi dirigenti sedotte dal potere, dal successo e dalla forza.

Le parole che restano

I Pontefici passano. Per fortuna restano le loro parole di cui sarebbe bene avere memoria. Benedetto XVI in tre diverse occasioni ha ben descritto quale deve essere il profilo a cui deve ispirarsi chi voglia impegnarsi in politica. Disegna una linea assai chiara che i leaders mondiali e di ogni nazione, intanto di fede cristiana e non solo, che non sembrano siano capaci da seguire. Non si tratta soltanto di modi e di stile rispetto ad una sobrietà di atteggiamenti e dichiarazioni che peraltro non stonerebbe. È purtroppo questione di sostanza, da qui un allarme che non dovrebbe lasciare indifferenti.

Il potere come servizio

In occasione dell’incontro con le autorità della città di Milano il Santo Padre ebbe a ricordare come Sant’Ambrogio dicesse che l’amministratore pubblico deve essere tale da suscitare l’ammirazione dei suoi cittadini per la sua dedizione al bene comune. Secondo il Santo “l’istituzione del potere deriva così bene da Dio, che colui che lo esercita è lui stesso ministro di Dio”. Benedetto XVI commentò al riguardo che nessun potere dell’uomo può considerarsi divino, quindi nessun uomo è padrone di un altro uomo. Il politico deve dotarsi della qualità della giustizia e dell’amore per la libertà che diventa elemento discriminante tra i buoni e cattivi governanti.

Gratuità, misericordia, comunione

Ne deriva che la “città dell’uomo non è promossa solo da rapporti tra diritti e poteri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione”. Tant’è che, secondo il Santo di Milano, “quello che fa l’amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare”. Su questa traccia, al tempo, Re Salomone chiese a Dio: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”.

Successo e tentazione

Benedetto XVI insegnò che per un politico, il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica dove essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente il politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità di una azione politica effettiva.

Avvertì però che il successo può anche essere una seduzione e così aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto – allora cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” ha sentenziato una volta Sant’Agostino.

Il limite del principio maggioritario

Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e la umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto ogni persona che ha la responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento. Benedetto fa riferimento a quelle esperienze storiche dove i regimi usavano un diritto disumano per perseguire un prossimo oppresso.

La ragione senza finestre

Nel corso della sua visita al Parlamento della Repubblica federale tedesca sottolineò come sia una minaccia per l’umanità allorché la ragione positivista si ritenga la sola cultura sufficiente. La ragione positivista che si presenta in modo esclusivista non è in grado di percepire qualcosa che sia al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. Da qui la domanda: come può la ragione ritrovare la sua grandezza senza scivolare nell’irrazionale?

Lanima dellEuropa

Il discorso vale oggi più che mai anche o soprattutto per l’Europa. Al riguardo Benedetto XVI rammentò che “la cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è il nostro compito in questo momento storico”.

La forza del diritto, non il diritto della forza

A questo proposito è più che mai attuale la riflessione di Mons. Vincenzo Paglia quando ci dice che i governanti del mondo dovrebbero impegnarsi per far valere la forza del diritto piuttosto che il diritto della forza e che secondo lo spunto della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate le religioni del mondo dovrebbero proporre il tema della fratellanza tra gli uomini ancor prima di premettere l’identità del loro credo. Una autentica rivoluzione rispetto al convincimento che per secoli ha improntato la Chiesa per cui “Extra ecclesiam, nulla salus”.

La domanda che resta aperta

Molto e di più ci sarebbe da dire riportando le riflessioni di Papa Benedetto nel suo incontro con le autorità civili del Regno Unito e con il Corpo diplomatico della Repubblica Ceca. Resta ferma la domanda: i leaders del mondo di oggi, semmai ne avessero uno, chiedono ancora al loro Dio, al pari di Salomone, di avere un cuore docile, la capacità di distinguere il bene dal male e di stabilire cosa sia un vero diritto, di servire la giustizia e la pace? Si ha l’impressione che le cose non stiano esattamente così.