Come si temeva sin dall’inizio di questo conflitto mediorientale che rischia – se non lo è già – di trasformarsi in guerra totale è l’Iran sciita degli ayatollah il nemico assoluto che Israele vuole abbattere. Del resto Teheran non ha mai nascosto il suo odio nei confronti dello stato ebraico, del quale auspica e profetizza la cancellazione dalla faccia della Terra.
Lo scontro sin qui si è svolto a ondate cicliche, o a mezzo di singoli episodi, tramite l’utilizzo da parte del regime iraniano dei c.d. “proxy”, ovvero milizie jihadiste combattenti da Teheran finanziate e armate.
Innanzitutto Hezbollah, che occupa una buona parte del Libano – uno Stato multireligioso in disarmo ormai da decadi e profondamente diviso al suo interno – da dove periodicamente ha lanciato attacchi verso il nord di Israele.
Più recentemente gli Houthy, pure essi occupanti un’intera area di uno Stato, lo Yemen, stremato da una guerra civile (da qualche tempo in stallo) che ne ha disgregato la struttura amministrativa e distrutto l’economia.
Da sempre, inoltre, operano diversi altri gruppi sciiti in Iraq e in Siria, eterodiretti dagli iraniani, essi pure parte di quella schiera di attori destinati nei piani iraniani ad accerchiare e colpire Israele.
E infine Hamas, che sciita non è ma ben si presta alla bisogna, e dunque esso pure è stato finanziato ed armato.
Dopo il 7 ottobre, e nella acquisita certezza (stando ai servizi segreti israeliani) che una mattanza analoga fosse in corso di preparazione al nord del paese ad opera di Hezbollah, il governo israeliano – al di là dei motivi personali e di sopravvivenza politica del premier Netanyahu, e pure al di là della decisiva ed estremista presenza in esso della Destra religiosa più intransigente e guerresca – ha deciso di indebolire in modo definitivo, e se possibile di distruggere e sradicare per sempre la ragnatela proxy pazientemente stesa nel tempo dagli iraniani. E questo ha cominciato a fare, dallo scorso novembre: prima a Gaza, ora nel Libano e tutto lascia prevedere che attaccherà pure gli Houthynello Yemen. Ben sapendo, in ogni caso, che dietro questi gruppi c’è comunque l’Iran, ovvero uno Stato. E contro uno Stato ostile si fa una guerra.
Questo è il punto di arrivo previsto, se si dovesse rendere necessaria l’opzione finale. E poiché l’Iran sta lavorando per divenire una potenza nucleare, l’obiettivo primo ad essere colpito sarebbe costituito dagli impianti nei quali, appunto, si sta sviluppando il progetto dell’atomica. Ben sapendo che gli Stati Uniti, chiunque a quel momento ne fosse il Presidente, non si esimerebbero dal contribuire all’operazione.
Quando, l’altro giorno, Netanyahu si è rivolto ai “persiani” annunciando loro la prossima liberazione dalla dittatura teocratica egli ha rivolto un avvertimento a quest’ultima, consapevole di quanto la società iraniana, quella più giovane in particolare, sia sempre più insofferente nei confronti del regime. Immaginando, così, una possibile ribellione che in realtà è assai improbabile, essendo molto strette le maglie dell’oppressione stese dal regime in ogni ambito del corpo sociale.
È dunque questo il punto in cui siamo. A cinque minuti dall’esplosione di una guerra nella regione più calda del pianeta. Con un interrogativo, fra gli altri, che desta una qualche giustificata curiosità: gli stati arabi sunniti (che vedono nell’Iran e non più in Israele il loro principale nemico) non è che sotto-sotto la auspicano, questa guerra (nella convinzione che essa eliminerebbe dal quadro l’insidioso regime sciita)?